Anna Freud e la sua opera dopo quella di Sigmund Freud

Anna Freud e la sua opera dopo quella di Sigmund Freud

Ultimo aggiornamento: 02 luglio, 2017

Anna Freud fu una figlia indesiderata. Era la più piccola di 6 fratelli e l’unica che, arrivata all’adolescenza, divenne la discepola devota e quasi abnegata di suo padre, Sigmund Freud. Fu pioniera nella psicoanalisi ed ereditiera del suo patrimonio. Buona parte di quanto apportato da Anna Freud nel campo della psicologia infantile fu sperimentale e davvero importante.

Il nome di questa interessante donna non è stato dimenticato. Non è stato portato via dal vento come quello di altre donne che stettero al fianco di grandi uomini. Come ad esempio Ada Lovelace, notevole matematica e precorritrice del linguaggio di programmazione; una donna che per molti non fu altro che la figlia di Lord Byron.

Anna Freud fu la figlia del padre della psicoanalisi, una bambina che venne al mondo senza essere desiderata, ma che riuscì a farsi spazio tra i suoi fratelli e fra tutti quei familiari che idolatravano ciecamente il medico e neurologo austriaco. Anna era ribelle, inquieta e cercava in qualsiasi modo di guadagnarsi l’ammirazione di suo padre, un uomo che la trattò sempre più come una paziente che come una figlia. 

Fu durante gli anni 20 che, essendo già membro della Società Psicoanalitica di Vienna, la sua vita iniziò a cambiare. A suo padre era già stato diagnosticato il tumore alla bocca e Anna, determinata a non abbandonarlo in nessun momento, pensò che, seppur avrebbe dovuto separarsi da lui fisicamente, avrebbe orientato i suoi studi in altri campi. Invece di divenire una psicoanalista, decise di trattare tramite la pedagogia i bambini sotto “regole” psicoanalitiche.      

Decise di proseguire il lavoro avviato a Vienna nel 1925, in Inghilterra durante la Seconda Guerra Mondiale. Una tappa fondamentale, durante la quale avrà inizio la sua vera opera: quella che, in un certo modo, continuava il lavoro fatto dal già defunto padre, Sigmund Freud, ma che apportava, a sua volta, nuovi approcci.

Anna Freud e la psicologia dell’IO

Anna Freud fu sempre una donna pratica. Non amava molto la teoria: per questo, i suoi libri sono pieni di interessanti casi pratici come base per giustificare e sviluppare le sue idee. Ciò che Miss Freud desiderava di più era che la psicoanalisi ricoprisse un’utilità terapeutica nella vita delle persone, soprattutto in quella dei bambini.

  • Durante la sua vita si preoccupò molto di più della dinamica mentale che della sua struttura. Per questo si interessava sempre più all’IO che all’ES, quella parte inconscia della vita psichica che tanto appassionava suo padre.
  • Anna Freud è conosciuta soprattutto per il suo libro “L’Io e i meccanismi di difesa”. In questo spiega come funziona ognuna di queste dinamiche, dedicando una parte all’utilizzo di tali meccanismi di difesa nei bambini e negli adolescenti”.
  • Propose anche un’idea interessante, ovvero che la maggior parte di noi applica diversi meccanismi di difesa e che non c’è niente di patologico in questo. L’approccio di Anna Freud non si concentrava sui sintomi delle possibili anomalie, come fece suo padre. Cercava, invece, di combinare l’aspetto teorico con una psicologia pratica, utile a tutti.

Tra i molteplici meccanismi di difesa di cui parla, ecco i più conosciuti:

  • Repressione: risponde alla necessità di contenere i pensieri e le emozioni che preservano l’ansia.
  • Proiezione: è la capacità e l’abitudine di vedere i propri difetti negli altri.
  • Spostamento: l’attribuzione dei sentimenti negativi ad altre persone.
  • Regressione: tornare ad un’età più giovane dal punto di vista psicologico, adottando le abitudini e i modelli tipici di quell’età.

Nel 1941 Anna Freud aprì un asilo e vari centri per bambini in via Wedderburn, una zona di Hampsteaden, a Londra. Aveva letto anche le opere di Maria Montessori e, commossa da tutti i bambini che la circondavano, traumatizzati dall’impronta della guerra, decise che era il momento di andare avanti in quel campo che tanto la interessava.

  • Basò lo sviluppo delle sue teorie sugli approcci formulati dal padre. Tuttavia, aveva ben chiaro che nel trattamento dei traumi avrebbe messo da parte “l’Es” e “il Super-Io”, per concentrarsi sull’Io.   
  • Quando Anna iniziava le sue sessioni di psicoterapia, evitava con tutti i mezzi di assumere quella figura “paterna” così classica e psicoanalista. Sapeva che, affinché un bambino potesse comunicare sentendosi a suo agio, aveva bisogno di un ambiente confortevole, gentile e rilassato.
  • La figlia di Freud fu la prima a far uso del gioco (ludoterapia) come meccanismo per addentrarsi nel mondo emotivo dei bambini. Tramite il gioco, modificò anche il suo ruolo di terapista: lungi dal presentarsi come una distante figura autorevole, voleva trattare i bambini tramite la vicinanza e ricorrendo al loro linguaggio.

Il divano venne, quindi, messo da parte, per creare autentiche sale da gioco: un contesto più idoneo all’espressione spontanea dei più piccoli.

L’importanza delle relazioni primarie

Anna Freud difese durante tutta la sua vita la necessità di prendersi cura e di dare importanza alle relazioni primarie di un bambino come meccanismo essenziale per il suo corretto sviluppo. Il suo lavoro sui bambini abbandonati o cresciuti in un clima di estrema negligenza, ad esempio, fondarono le basi per molteplici studi successivi.

Un’altra iniziativa innovativa fu quella di non tenere i bambini in ospedale più del necessario né troppo a lungo in orfanotrofio in caso fossero rimasti orfani o fossero stati vittime di abbandono. I bambini hanno bisogno della vicinanza familiare e della figura materna. La distanza dalla madre causa stress, paura e ha un impatto negativo sulla mente del bambino e sul suo sviluppo psichico.

Anna Freud voleva che il funzionamento dei suoi centri di accoglienza si basasse sull’unità familiare. Ogni bambino abbandonato o traumatizzato dagli effetti della guerra trovava in queste istituzioni altri compagni (fratelli) e una madre supplente o psicoterapeuta che trattava i traumi e gli incubi frequenti dei piccoli.

Il “diavolo nero” come la soprannominava suo padre, a causa del suo carattere forte e spesso eccentrico, non tradì l’eredità teorica di Sigmund Freud; difatti, la migliorò. Grazie a lei si poté limare quello spigolo, quella parte scoperta lasciata da suo padre, che non aveva approfondito l’educazione infantile.

La pratica terapeutica di Anna Freud si concentrò sui bambini, ma non solo. Dedicò la sua vita alla cura dei bambini ai quali erano mancate le attenzioni di base. Creò numerosi asili, centri di accoglienza, una clinica e un centro di formazione per psicoterapisti in psicoanalisi infantile.  

Miss Freud morì all’età di 82 anni, avendo portato a termine la sua missione. Fu la madre della psicoanalisi e la persona che ne garantì la sopravvivenza.        

 Referenze bibliografiche: 
  • Anna Freud. Infanzia e Adolescenza  
  • Sigmund Freud & Anna Freud. Sigmund e Anna Freud. Corrispondenza 1904-1938.
  • Anna Freud. L’Io e i meccanismi di difesa

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