Les chevaux de dieu: l'altra faccia del terrorismo

Il dogmatismo religioso può essere così pericoloso, al punto da sfociare in atti terroristici, come quelli narrati in questo testo.
Les chevaux de dieu: l'altra faccia del terrorismo
Alicia Escaño Hidalgo

Scritto e verificato lo psicologa Alicia Escaño Hidalgo.

Ultimo aggiornamento: 13 febbraio, 2024

I nostri occhi e i nostri cuori rispecchiano l’angoscia e la tristezza causati dal terrorismo. In molti non comprendiamo come possano esistere persone disposte a commettere tali atrocità contro altri esseri umani.

Sorge velocemente l’odio, la sete di vendetta e il rancore. Giudichiamo i terroristi, desideriamo che marciscano all’inferno e pensiamo siano psicopatici, autentici assassini pieni di disprezzo verso l’Occidente.

La realtà, però, è ben distinta. Nessuno nasce con il desiderio di distruggere un altro popolo, nessuno prova odio invano. L’uomo è buono per natura, o almeno ha la possibilità di esserlo. Quando nasce, è solo un bambino il cui unico desiderio è quello di giocare ed essere felice, ma con il passare degli anni e come risultato del mondo che abbiamo creato, impara, in maniera difettosa, certi modi di pensare e di comportarsi. È allora che si trasforma in un mostro, anche se, in realtà, non è altro che una vittima.

Viso uomo frammentato

Les chevaux de dieu: l’altra faccia del terrorismo

Con i tempi che corrono ci viene in mente un libro che risulta fondamentale in questi momenti. Si intitola Les chevaux de dieu ed è ispirato al romanzo dello scrittore marocchino Mahi Binebine, Les étoiles de Sidi Moumen (Le Stelle di Sidi Moumen). Chevaux de dieu, ovvero cavalli di Dio, è il modo in cui vengono soprannominati i ragazzi marocchini che si immolano dove l’imam dice loro e fa riferimento al modo in cui, in quanto fedeli, raggiungeranno il paradiso e si circonderanno di magnifiche huri, al galoppo, come fanno i cavalli.

Il libro di Binebine è di un realismo impressionante. Racconta la cruda realtà di alcuni ragazzi che vivono in un quartiere marginale in Marocco, provenienti da famiglie disagiate, coscienti che non avranno mai il futuro al quale aspirano; l’unica cosa che otterranno, invece, come è accaduto ai loro nonni e ai loro genitori, è la miseria e la disgrazia.  

Cosa accade con l’autostima di questi ragazzi senza speranze? Evidentemente, è distrutta, non ha ragione di esistere. Sono coscienti di poter aspirare, al massimo, a vendere arance per strada e a pregare di guadagnare il minimo per mangiare.

È allora che entra in gioco la speranza, la luce, quella persona che promette loro, finalmente, un senso alle proprie vite. L’imam, in maniera piacevole e calorosa, mette alla loro portata, o per meglio dire fa credere loro, che hanno l’opportunità di sfuggire a quella povertà. Non solo dà loro speranza tramite parole che aumenterebbe l’autostima di qualsiasi individuo, ma garantisce loro il paradiso, con tutto ciò che questo comporta. Persuade questi giovani dicendo loro che possono rendersi utili e fare qualcosa di grande, che il fine giustifica i mezzi.

Uomo marionetta

Questione di poca intelligenza? Assolutamente no. Si tratta senz’altro di ragazzi intelligenti, che se avessero ricevuto un’educazione, avrebbero potuto arrivare lontano. Il problema è che la formazione e la cultura brillano per la loro assenza e valgono zero assoluto per chi ha in mano il potere.

Quando l’essere umano si sente del tutto privo di speranza, è disposto ad afferrarsi a qualsiasi cosa, sebbene non  trovandosi in tale situazione disperata potrebbe condannare la soluzione per la quale opta. L’imam è in grado di sedurre questi ragazzi, affinché si tolgano la vita e seminino il terrore.     

Qual è la soluzione?

Secondo quanto commentato, è evidente che la soluzione a queste barbarità commesse in Oriente e in Occidente sia fomentare l’integrazione di questi bambini, investire tempo, sforzo e denaro sulla loro educazione, in modo da non dover conoscere tanta disperazione e diventare, quindi, facili prede degli imam.

La soluzione a lungo termine non consiste nel rinforzare le forze di sicurezza e ignorare la base del problema, infatti quanto più investiremo in sicurezza, maggiore sarà il numero degli attentati. Sarà più facile per i radicali persuaderli dicendo loro che affrontano una guerra nella quale si può solo lottare, che l’unico atto di coraggio che possono dimostrare è togliersi la vita per sterminare i loro “nemici”.

Bisogna intervenire alla base del problema, sulla causa, sulla mancanza di opportunità e, in tal modo, sarà molto più complicato che si produca questa captazione. Dobbiamo offrire e divulgare la cultura, dobbiamo aprire una finestra di opportunità invece di chiudere le persiane per impedire ad uno spiraglio di luce di entrare. In questo modo, saranno loro stessi a dire di no.

Quante volte ci è capitato, ovviamente in situazioni molto meno rilevanti, di sentirci abbattuti e di lasciarci trasportare dalle emozioni, prendendo le peggiori decisioni possibili? Se tutti noi fossimo in grado di metterci nei panni di questi ragazzi, saremmo più vicini alla soluzione di quanto sta accadendo.

Nota di commento: ricordiamo che la psicologia ha dimostrato che le circostanze hanno un enorme potere. Alunni innocenti possono trasformarsi in terribili tiranni, come accadde con l’esperimento carcerario di Standford o con l’esperimento di Milgram.

L’intenzione di questo articolo è di favorire la riflessione sul messaggio “occhio per occhio” che circola continuamente dopo ogni attentato. Comprensibile per l’impatto che gli atti terroristici causano, ma lungi da una possibile soluzione che ponga definitivamente fine agli stessi.


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