Gridare: una forma di comunicazione comune a molte famiglie

Gridare: una forma di comunicazione comune a molte famiglie
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

Gridare sovreccita il cervello, ci mette in allerta e sull’attenti contro il delicato equilibrio delle nostre emozioni. Questa irritante forma di comunicazione basata su un tono di voce sempre elevato, purtroppo, è comune a molte famiglie. Il malessere e le aggressioni invisibili si ripercuotono sui vari membri lasciando sequele molto profonde.

Tuttavia, per quanto sembri strano, ci sono persone che non intendono altra forma di comunicazione se non questa; si grida per chiedere la posata che si ha davanti, per attirare l’attenzione del figlio che si ha accanto o persino per commentare il programma televisivo che si sta guardando con il resto della famiglia. Ci sono persone che non sanno comunicare senza ansia, la loro o quella che proiettano.

“Non posso farne a meno”, si giustificano. Evitare di alzare la voce sfugge al loro controllo, perché sono il timbro ed il tono che hanno ascoltato sin dalla più tenera età, perché hanno sempre gridato per farsi notare, per segnare il territorio brandendo la loro autorità e anche, perché no, per canalizzare rabbia, frustrazione ed ego contenuti in cerca di valvole di sfogo.   

Alzando la voce non ci sentiranno meglio, lo sappiamo, ma spesso si ha bisogno di gridare, perché è l’unica frequenza a noi nota per comunicare, l’unico canale con il quale visualizzarci dinanzi agli altri. Non sappiamo, però, che molto probabilmente l’altra persona risponderà allo stesso modo, dando forma, così, ad una dinamica relazionale disordinata e coercitiva.   

Una situazione che, purtroppo, abbonda in molte famiglie… 

Gridare distrugge silenziosamente le nostre relazioni

Il grido presenta nella propria natura un fine ben preciso, negli esseri umani così come nel resto degli animali: salvaguardare la propria sopravvivenza e quella del gruppo dinanzi ad un pericolo. Facciamo un semplice esempio. Ci troviamo in una foresta, stiamo camminando, ci stiamo godendo quest’equilibrio naturale. All’improvviso, si sente un grido, è una scimmia cappuccino che emette un urlo acuto che ci si conficca nel cervello.

Questo grido è un semplice “allarme” per avvisare i suoi simili. La maggior parte degli animali appartenenti a quel contesto, proprio come noi, reagiscono con paura, con aspettativa. È un meccanismo di difesa che attiva una struttura cerebrale ben precisa: l’amigdala. Basta sentire un suono acuto, un tono di voce elevato, affinché questa piccola area cerebrale lo interpreti subito come una minaccia e attivi il sistema nervoso simpatico per innescare la fuga.

Sapendo ciò, comprendendo questa base biologica e istintiva, possiamo dedurre che crescere in un ambiente nel quale abbondano le urla e nel quale la comunicazione si produce sempre con un tono di voce alto mantiene il cervello in un perenne stato d’allerta. L’adrenalina è sempre presente, la sensazione di doversi difendere da “qualcosa” immerge in uno stato di stress cronico, di permanente angoscia, davvero snervante.  

D’altro canto, ad intensificare ancora di più questa realtà è il fatto che, dinanzi ad uno stile comunicativo aggressivo, è comune generare risposte difensive dalla stessa carica emozionale, con lo stesso componente offensivo. In questo modo, cadiamo, consapevoli o meno, in un circolo vizioso e in una dinamica fortemente distruttiva. Accumuliamo sequele in questa complessa foresta di relazioni umani nella quale la qualità della comunicazione è tutto.   

Famiglie che comunicano gridando

Laura ha 18 anni e si è appena resa conto di una cosa che non aveva notato finora. Parla con un tono di voce molto alto. I suoi compagni di università le dicono spesso che la voce che si sente di più in classe è la sua e che quando sono in gruppo il suo modo di comunicare risulta un po’ minaccioso.

Laura vuole controllare questo aspetto della sua persona. Sa che non sarà facile, perché a casa sua i suoi genitori e i suoi fratelli comunicano sempre in questo modo: gridano. Non è necessario che si presenti una discussione, semplicemente è il tono di voce con il quale è cresciuta e al quale è stata sempre abituata. Sa anche che a casa sua chi grida si fa ascoltare e che alzare la voce è necessario, perché la televisione è sempre accesa, perché ognuno è concentrato sulle proprie attività e perché…non vi è molta armonia.

In questo caso, Laura deve capire che non è possibile cambiare da un giorno all’altro una dinamica familiare. Non può cambiare gli altri, né i suoi genitori né i suoi fratelli, ma può cambiare se stessa. Quello che può e che deve fare è controllare coscientemente il suo personale stile verbale per comprendere che chi grida aggredisce, che non c’è bisogno di alzare la voce per essere ascoltati e che, spesso, un tono di voce sereno e tranquillo aiuta ad interagire molto meglio con gli altri.  

Con questo semplice esempio, vogliamo che risulti chiaro un aspetto molto importante: a volte non possiamo cambiare chi ci ha educati, non possiamo modificare il nostro passato né cancellare le dinamiche familiari nelle quali il grido è sempre presente anche se solo per chiederci che ora è o come è andato l’esame.   

Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo impedire che questo stile comunicativo ci caratterizzi nel nostro presente, nelle nostre relazioni d’amicizia o d’amore, in casa. Dobbiamo ricordare che la ragione non diviene più forte perché espressa a suon di urla, a volte è più intelligente colui che sa tacere ed ascoltare ed è più saggio colui che sa come e in che modo comunicare.  


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