Meditazione: quando il cervello trova pace

Meditazione: quando il cervello trova pace

Ultimo aggiornamento: 18 febbraio, 2022

Ricorrere alla meditazione per rilassarsi e liberarsi dallo stress è una pratica sempre più comune e dai molteplici benefici per la salute mentale. Tuttavia, è la meditazione consapevole quella che sta riscuotendo sempre più successo, perché i suoi effetti positivi vanno ben oltre l’eliminazione dello stress.

La meditazione consapevole sembra essere di grande aiuto non solo per risolvere problemi psicologici, ma anche fisici, come ad esempio l’ipertensione, i dolori cronici, i disturbi del sonno, l’ansia e la depressione. È stato anche dimostrato che questa pratica stimola la funzione immunitaria e aiuta a combattere la fame ansiosa.

Oltre a tutti questi benefici, la meditazione, in particolare quella consapevole o mindfulness, aiuta a migliorare la funzione cerebrale.

Studi scientifici sulla meditazione e sulle funzioni cerebrali

Uno studio condotto presso l’Università della California ha rivelato che uno degli effetti della meditazione è l’aumento della connettività cerebrale. I ricercatori hanno confrontato l’attività cerebrale di alcuni volontari dopo otto settimane di programma per la riduzione dello stress basato sulla piena attenzione o mindfulness con quella di altri volontari che non si erano sottoposti a questo tipo di pratica.

Le immagini della risonanza magnetica hanno rivelato connessioni più forti in diverse aree del cervello, soprattutto quelle relative all’attenzione e all’elaborazione uditiva e visiva.

Cervello

In uno studio successivo, realizzato presso il Massachusetts General Hospital, i ricercatori hanno usato  la risonanza magnetica per documentare, prima e dopo aver sottoposto i pazienti alla pratica di meditazione, i cambiamenti nella materia grigia del cervello. Gli studiosi hanno scoperto che la meditazione può letteralmente cambiare il cervello, facendolo crescere in modo significativo e migliorando, allo stesso tempo, tutte le sue funzioni.

I ricercatori spiegano di aver riscontrato delle differenze per quanto riguarda il volume del cervello dopo otto settimane di meditazione in cinque regioni diverse del cervello dei volontari che sono stati coinvolti nello studio. Il gruppo che si è sottoposto alla pratica della meditazione presentava un ingrossamento del cervello in quattro zone.

La principale differenza riguarda la corteccia cingolata anteriore, l’area del cervello che governa il pensiero e le emozioni, e l’auto-importanza. Sono state riscontrate differenze anche nell’ippocampo sinistro, che si occupa dell’apprendimento, della cognizione, della memoria e dell’equilibrio emotivo.

Anche la corteccia temporo-parietale, associata alla prospettiva, all’empatia e alla compassione, è aumentata.

Infine, sono stati riscontrati cambiamenti anche nel ponte di Varolio (o semplicemente ponte), un’area alla base del cervello dove viene prodotta una grande quantità di neurotrasmettitori regolatori.

Anche l’amigdala (la parte del cervello da cui hanno origine le reazioni relative alla lotta o alla fuga e che governa l’ansia, la paura e lo stress) ha subito variazioni.

Questa zona del cervello si è ridotta nei pazienti che si sono sottoposti a pratiche di riduzione dello stress basate sulla piena attenzione, un tipo di meditazione consapevole. Il cambiamento nell’amigdala ha comportato anche una diminuzione significativa dei livelli di stress.

Meditazione2

Meditazione e cambiamenti genetici

Al momento gli scienziati possono solo speculare sulla relazione tra i cambiamenti nel cervello e i benefici per la salute associati alla meditazione consapevole. Queste ricerche, però, provano che le pratiche di meditazione possono alterare il corpo in maniera significativa, anche a livello genetico.

In questo senso, si sta studiando la risposta di rilassamento scatenata dalla meditazione (o da altre pratiche, come la mindfulness o lo yoga) e il modo in cui lo stato di rilassamento possono trasformare un insieme di geni nelle persone che le praticano con regolarità. I geni potrebbero essere associati al modo in cui il corpo controlla i radicali liberi, i processi di infiammazione e la morte cellulare.


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