Perché Nietzsche pensava che l'uomo fosse un animale malato?

Perché Nietzsche pensava che l'uomo fosse un animale malato?

Ultimo aggiornamento: 01 agosto, 2017

Il pensiero di Nietzsche (1844-1990) è stato forse uno dei più rivoluzionati, interpretati e manipolati durante la storia. Per molti, con lui morì Dio e nacque un nuovo modo di vedere ed intendere il mondo. Un modo che prova a riscattare il pensiero e l’uomo dal giogo che si è auto-imposto, come intento sofisticato per sfuggire alle sue più grandi paure. La fobia della vita, di se stesso e della sua libertà.

Per Nietzsche, l’origine di molti mali era da ricercare in quella Grecia illustre, e in parte democratica, nella quale si lascia da parte il mythos per passare a venerare il logos. Ad una ragione che ci ha resi esseri insufficienti, limitati e storditi, come le ombre che vedevamo nelle caverne. Nietzsche diffida dalla modernità ed inizia a pensare che dietro a tale realizzazione si nasconda il risentimento per la vita, verso ciò che ci accade e non ci piace.

L’origine della malattia

(… e della tragedia)

In Grecia, perse Dioniso (vita) e vinse Apollo (ragione). In questo modo, rimaniamo ipnotizzati da una perfezione che proiettiamo all’esterno, e che rimarrà sempre all’esterno per il modo in cui la articoliamo: lontani, perché siamo noi a situarci in tale modo, lontani dalla nostra natura. La nostra condanna è al contempo il nostro destino: trascendere la simbologia e passare alla forma materiale. L’unico modo per invertire tale condanna: la morte.

Se Socrate aprì le porte alla possibilità di questo pensiero, separando l’aspetto dionisiaco (vita) e quello apollineo (ragione), fu Platone a situarne uno al di sopra dell’altro, completando così la maieutica (nascita della conoscenza; vincita della ragione) e al contempo facendo spazio alla tragedia. La divulgazione di questa scissione e gerarchia verrà poi ripresa dal cristianesimo, che parlerà di vita come preparazione alla morte o come valle di lacrime.

Un penare la cui ricompensa è il cielo. Un discorso che si inseriva perfettamente nel difficile contesto che vedeva la popolazione sfinita dalla fame, dalla peste e dalla sete di speranza. Soffrite ora, perché poi verrete ricompensati. Ovviamente solo se avrete sofferto abbastanza.  

Questa visione presuppone anche una condanna morale nei confronti dell’uomo, perché le gesta più eroiche non possono mai essere opera sua. Forse è per questo che sono divenute popolari frasi rappresentative dell’accettazione delle condanne, come “non tutti i mali vengono per nuocere”. Difatti, questa è stata la giustificazione che hanno utilizzato molti per spiegare come sia possibile che un Dio che tutto può e mosso solo dalla sua infinita bontà permetta le disgrazie che si verificano. È curioso, non credete?

Ci condanniamo alla schiavitù

Tornando al fulcro del pensiero di Nietzsche, sono queste le premesse che hanno portato alla creazione di una scala di valori più attinente alla nostra fede che alle nostre conoscenze. Ad ogni modo, siamo esseri intelligenti, e il Medioevo, o età buia, non poteva durare per sempre…

Nel frattempo, si è iniziata ad edificare la scienza, la migliore soluzione vitale sovvenutaci per allontanarci dal mondo sensibile. La scienza, in questo senso, non era altro che il mezzo perfetto, secondo Nietzsche, generato dall’uomo per creare un buco nella caverna e spiare fuori. La nostra speranza nello stabilirla come paradigma era quella di intendere il determinismo, il destino che in qualche modo era già scritto per tutti. Un algoritmo nel quale tutto si incastra alla perfezione: esattamente uguale a quelli utilizzati dalle aziende per cercare di prevedere quale sarà il prossimo acquisto del cliente.

Nietzsche affronta questo modello di pensiero con il nichilismo, che si basa sulla filosofia del martello. È la parte distruttiva della sua filosofia, in cui attacca il sapere tradizionale e le sue manifestazioni, la cultura occidentale e gli ambiti nella quale questa si rifletteva.

Il pessimismo nichilista e il superuomo

Nel suo nichilismo, Nietzsche ci spiega perché pensa considera l’uomo un animale malato e perché ciò che è accaduto in Grecia presuppose la nascita della tragedia per noi. La sua risposta rappresenta una rivoluzione copernicana, paragonabile a quanto successo con l’illuminismo e l’antropocentrismo, ma con un accezione ed un senso molto distinti. A differenza degli illuministi, non pensava che la scienza ci avrebbe salvati, ma che fosse una sostituta della religione, ma più intelligente e vitale in alcuni aspetti.

Una religione che continuava ad essere una prova del nostro risentimento nei confronti della vita; e, pertanto, della nostra malattia e della repressione dei nostri istinti vitali.

Un’altra manifestazione della moderna malattia, oltre alla religione e alla scienza (rappresentate da Nietzsche soprattutto dalla matematica) è il linguaggio. Cerchiamo di ridurre la vita in numeri, così come in concetti. Il linguaggio risulta, quindi, una finzione, uno strumento collettivo grazie al quale trovare la verità. Una verità che ci siamo impegnati a rendere classificabile, oggettivabile, riducibile a concetti, assoluta… ma il mondo in cui viviamo, è davvero così?

Compresa la malattia, qual è per  Nietzsche la soluzione? Ricominciare a ribaltare i valori e lasciare spazio alla nascita del superuomo, colui che cercherà di vivere una vita degna a tal punto da desiderare di viverla di nuovo allo stesso modo (eterno ritorno). Questa è la parte vitale della filosofia di Nietzsche, il suo modo di trascendere il sospetto e abbracciare, così, la vita.


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