"Oziofobia": una malattia dei giorni nostri

"Oziofobia": una malattia dei giorni nostri

Ultimo aggiornamento: 23 giugno, 2017

Il termine “oziofobia” (traduzione italiana di “ociofobia”) è stato coniato per la prima volta da Rafael Santandreu, psicologo spagnolo. L’esperto voleva definire con questa parola la paura di non avere qualcosa da fare. È uno dei problemi della società odierna che cominciano a prendere piede senza nemmeno rendercene conto. Gli psicologi se ne sono accorti quando hanno iniziato ad avere sempre più pazienti ossessionati dal lavoro oppure persone che ricorrevano al lavoro per evadere dai problemi che non volevano affrontare.

Sembra che al giorno d’oggi siano sempre di più le persone che cominciano ad entrare nel panico quando hanno del tempo libero, vuoto. Tempo libero che non hanno programmato o che non era previsto perché hanno già terminato ogni attività e che sembra non portare da nessuna parte.

L’ozio diventerà il problema più urgente, difficilmente l’uomo riuscirà a sopportare se stesso.

Friedrich Dürrenmatt

Com’è possibile che siamo arrivati al punto di avere paura del tempo libero? I nostri genitori o i nostri nonni lo vedevano come un regalo. Il tempo libero era fatto apposta per riposare o per svagarsi. Ad ogni modo, non dava mai una sensazione di avversione. Anzi, tutto l’opposto: lo si agognava. Cos’è successo?

La paura del tempo libero e la noia

Tutto sembra suggerire che la noia abbia raggiunto lo status di peccato capitale al giorno d’oggi. Chi è affetto da “oziofobia”ha paura della possibilità di annoiarsi. Questo sentimento risulta intollerabile e genera panico, letteralmente. “Perdere” tempo, non fare nulla, è quasi come aver contratto la peste.

Rafael Santandreu, fotografia di Alvaro Monge

Le persone con questa fobia sono disperate quando non hanno nulla da fare. Vedono il tempo libero come una potente minaccia. Se potessero disegnare ciò che provano, sarebbe un grande buco nero che minaccia di assorbirli.

Rispetto al tempo libero, sviluppano fantasie non ben definite. È come se avessero il presentimento che succederà loro qualcosa di terribile. Come se la principale caratteristica dell’ozio fosse qualcosa di sconosciuto e spaventoso che non vogliono affrontare.

I sintomi di chi è affetto da “oziofobia”

Il sintomo più visibile di chi soffre di oziofobia è l’ansia. Si manifesta con grande intensità nel momento in cui la persona in questione non ha niente da fare, ma anche prima di un fine settimana senza programmi e aumenta prima delle vacanze.

Le persone di questo genere sono fortemente influenzate dalle ideologie di efficacia e produttività. Danno maggior priorità ai successi rispetto alla felicità. La cosa peggiore è che misurano i loro successi in termini quantitativi e non qualitativi. Si vantano delle tante attività svolte o dei tanti obiettivi raggiunti. Non menzionano la reale qualità di questi successi.

È altrettanto grave il fatto che queste persone cercano di trasmettere tale stile di vita ai loro figli. Sono i classici genitori che iscrivono i figli a qualsiasi corso. Vogliono che parlino tedesco già a dieci anni e che a 13 sappiano già suonare perfettamente il piano. In un modo o nell’altro insegnano ai figli ad essere ansiosi. Trasmettono loro l’idea che il tempo che non dedicano a produrre o ad imparare è il peggiore errore che possano fare. Guai ad oziare! Guai ad annoiarsi!

Rafael Santandreu, padre del concetto di “oziofobia”, dice che dovremmo imparare ad annoiarci di più. Non c’è niente di male in questo. Non c’è niente di terribile nel passare un’ora a fissare la parete e a pensare a delle stupidaggini. Non solo non c’è niente di sbagliato in questo, ma è necessario. Si tratta di un aspetto che si incastra perfettamente nel concetto di equilibrio. Va bene lavorare e avere vari interessi, ma è altrettanto giusto risposare ed annoiarsi di tanto in tanto.

Santandreu rivela che le menti oziose sono molto più produttive. Afferma anche che “la proporzione ideale sarebbe un’ora di lavoro e 23 di ozio”. Non dimentichiamo che i leoni vanno a caccia solo una volta alla settimana e che Cervantes ha scritto il suo Don Chisciotte della Mancia nei momenti di svago in Castiglia. Non è rimasta traccia del suo impiego come esattore delle tasse, invece il risultato del suo ozio ha determinato una trasformazione della lingua e della letteratura spagnola che è giunta fino ai nostri giorni.

Sarebbe bene che ritrovassimo la capacità di guardare il paesaggio mentre attraversiamo la città a piedi. È necessario ridurre il ritmo, cominciare ad andare più lentamente. Meglio fare poche cose, ma con piacere, che fare troppe cose sotto stress. Meglio impiegare il breve tempo della vita per amare e creare, invece di scrivere relazioni o rispettare orari e scadenze. Non è peccato non fare nulla. Non è una malattia annoiarsi di tanto in tanto. Tutto il contrario: ci rendono migliori.


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