Cosa succede quando lo shopping nasconde tristezza?

Cosa succede quando lo shopping nasconde tristezza?
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 10 marzo, 2023

Fare shopping è ormai diventato una fonte di divertimento o quasi un hobby per molte persone. Non sempre è stato così, però. Un tempo si comprava per il solo scopo del sostentamento, ci si riforniva di quello che era necessario. Al giorno d’oggi, invece, andare per negozi rappresenta più che altro un modo per rilassarsi e distrarsi, e può persino essere considerato ricostituente o parte di una “terapia”.

Una simile realtà può vedere luce soltanto nell’ottica di una società consumista. Non sono stati i gusti o le preferenze delle persone a far nascere il piacere per lo shopping –anzi, è successo l’esatto contrario: i nuovi modelli nascenti dell’economia e del mercato hanno creato nuovi gusti e preferenze su come passare il tempo libero. A questo proposito, naturalmente, ha sempre giocato un ruolo fondamentale la pubblicità, capace di rendere l’accessorio una necessità.

 “Chi compra ciò che è superfluo presto dovrà vendere ciò che è necessario”

-Benjamin Franklin-

Un tempo i supermercati erano organizzati affinché i clienti trovassero subito e facilmente quello che cercavano. Adesso i centri commerciali si sono trasformati in musei di architettura, in luoghi pieni di comfort e proposte per svagarsi. Funzionano più o meno come centri di intrattenimento e sono diventati punti di riferimento sociale.

Fare shopping: positivo o negativo?

Viviamo in una società consumista, è evidente, e nel nostro piccolo contribuiamo tutti a mantenere tale dinamica. È un fatto anche che, per quanto si possa essere intransigenti, andare a fare shopping ci dà una certa soddisfazione. Oltre alla necessità che soddisfiamo quando compriamo un articolo, comprare ci apporta anche una sensazione di potere ed abbondanza difficilmente possibile con altre attività.

Persone che hanno fatto shopping

Alcuni studi hanno dimostrato che il cervello trae benefici quando si va a fare shopping. Il fenomeno è stato studiato presso l’Università di Brunel a Londra. Vedere qualcosa che ci piace, desiderare di acquistarlo e comprarlo attivano alcune zone cerebrali che liberano dopamina. Il nostro stato d’animo, dunque, migliora e ci sentiamo più felici.

D’altra parte, il cervello reagisce allo stesso modo anche dinanzi ad altri tipi di stimoli: lo stato d’animo migliora facendo sport o realizzando un’attività gratificante come ballare o lavorare a maglia. Accade lo stesso quando si riceve un complimento considerato sincero o quando ci si immerge a fondo in una lettura. Tuttavia, il mercato ha fatto in modo di stereotipare il concetto di soddisfazione indirizzandola verso i centri commerciali (ciò che interessa al mercato).

Andare a fare shopping non è sbagliato e, anzi, può essere positivo se fatto in maniera cosciente e responsabile. Le difficoltà insorgono quando la continua visita ai centri commerciali si trasforma nella via di fuga da una sensazione di malessere che non si è capaci di gestire in altri modi. In questi casi, le compere non aiutano a migliorare lo stato d’animo, bensì non faranno altro che nascondere il problema o crearne persino un altro.

Forse pensate che il malessere sparirà guardando una vetrina o entrando e uscendo da un camerino, oppure pensando al momento in cui indosserete il nuovo capo. Eppure, come vi sentite una volta che quei brevi momenti di eccitazione sono finiti, meglio o peggio di prima?

Fare shopping per gestire il proprio malessere

È ormai frequente sentire le persone dire che vanno a fare shopping perché sono depresse e vogliono tirarsi su di morale o anche che andare per negozi funge da “terapia” per dimenticare i problemi. I centri commerciali si sono tramutati in luoghi di transizione del dolore e distensione per cuori oppressi. Acquistare prodotti ci aiuta a dimenticarci di essere limitati, finiti e problematici.

Donna disperata con numerose buste delle compere

In queste circostante, non è strano che qualcuno riempia la sua agenda con lo shopping. Non è neanche strano che provi una profonda frustrazione quando non riesce a farlo o che lavori al fine di avere liquidità sufficiente per mantenere un tenore di vita alto.

L’ultimo elemento perfetto in questo schema sono le carte di credito. Fino a pochi decenni fa erano un bene limitato a uomini d’affari o con entrate molto alte. Ormai ottenerne una è facilissimo e davvero in pochi non ce l’hanno. La carta di credito elimina ogni barriera quando si tratta di comprare, in quanto non ci consente di vedere quanto si sta spendendo. Usciamo dai negozi indebitati, ma felici.

Senza rendercene conto, la vita va impoverendosi sotto molti aspetti. Buona parte delle nostre entrate viene prosciugata per il pagamento dei crediti acquisiti. Inoltre, il mondo comincia ad assumere un aspetto unidimensionale.

Smettiamo di provare soddisfazione per attività gratuite che non implicano una transizione. Senza sapere come, stiamo consegnando il controllo nelle mani degli esperti del marketing. Alla fine, però, a pagare siamo noi: quello che compriamo, gli aspetti della nostra vita che abbiamo messo da parte, le conseguenze del conflitto rimasto irrisolto e che abbiamo provato a nascondere sotto il tappeto a forza di spendere soldi e risorse in articoli di cui non abbiamo bisogno.


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