La grassofobia: l'unico elefante in sala

La grassofobia è una delle conseguenze sociali più perverse. A causa di essa, possiamo arrivare a temere l'elemento più profondamente legato alla nostra persona: il nostro corpo. 
La grassofobia: l'unico elefante in sala
Sergio De Dios González

Scritto e verificato lo psicologo Sergio De Dios González.

Ultimo aggiornamento: 15 dicembre, 2022

Alcune persone non incarnano le caratteristiche ritenute normali dalla società. E proprio la società, che dovrebbe nutrirci, per alcuni è solo fonte di acqua avvelenata. Il prodotto di una rete che, contrariamente a quanto dovrebbe, provoca frustrazione e dolore, nonché distorce l’identità. La grassofobia è uno dei fenomeni nati negli ultimi anni.

Il grasso, la ciccia, vengono associati a concetti tutt’altro che positivi. E c’è chi ha alimentato questa idea per arricchirsi. Aziende che cercano il “diverso” per riempirsi le tasche a discapito delle persone con un indice di massa corporea (IMC) non basso.

Ragazza in sovrappeso ha superato la grassofobia e sorride felice.

Pregiudizi e origine della grassofobia

Frutto dell’educazione ricevuta, capita spesso e a molti di noi di vedere una persona dall‘IMC superiore a quello raccomandabile e pensare che sia insoddisfatta. È una supposizione avanzata senza conoscere la persona davanti a noi, eppure diamo per scontato che sia così. Al tempo stesso, commettiamo altrettanto facilmente l’errore di credere che manchi totalmente di forza di volontà: quella necessaria ad andare in palestra o a seguire una dieta.

Quel nostro giudizio, così egocentrico, si vede rafforzato da un effetto a specchio: la nostra immagine riflessa è positiva. Siamo persone dotate di forza di volontà, che si prendono cura di sé, ed è per questo che abbiamo un IMC più basso.

Diamo per scontato che alle persone in sovrappeso non piaccia il loro corpo e che, se non fanno nulla per cambiarlo, è perché il loro equilibrio è troppo fragile e il loro stato d’animo troppo debole di fronte alle tentazioni del cibo.

È molto più semplice assumere questa linea di pensiero piuttosto che pensare che un individuo sia così per scelta. In quel caso dovremmo iniziare a domandarci se i sacrifici che facciamo siano spinti da un obiettivo sincero o semplicemente “indotti”. È più facile pensare che non cambino perché non abbastanza forti; questo pensiero alimenta l’idea che noi, invece, abbiamo il controllo sul nostro corpo, che facendo le “cose per bene” non ingrasseremo mai. In realtà, non è proprio così.

La vista di una persona obesa scatena in genere una reazione di compassione e pena, simile a quanto provato quando ci troviamo di fronte a qualcuno che ci dice di essere malato. Anziché dire “piacere di conoscerti”, ci verrebbe più spontaneo dire “mi dispiace”, “coraggio”, “puoi farcela”.

Ragazzo magro si vede obeso per la grassofobia.

Quando l’ossessione per la magrezza diventa dannosa

Fra tutte le fobie, la grassofobia è particolarmente limitante. Presuppone il rifiuto o la battaglia verso una parte di sé con la quale convivremo per sempre; provarci ci causerebbe dolore, farlo significherebbe smettere di vivere. Eppure, in molti intraprendono questo cammino: si dissociano o ignorano il loro corpo, come chi cerca di non prestare attenzione a un ciarlatano che, per quanto parli, non riesce a stimolare il nostro interesse.

Durante questo percorso, il prezzo da pagare diventa altissimo. Non facciamo caso ai segnali inviatici dal nostro corpo, il dolore ci narcotizza rendendoli ignari del pericolo, con conseguenze fisiche spesso gravi. Qualsiasi aspetto sgradevole del nostro corpo viene associato all’obesità.

D’altra parte, molte persone obese affette da grassofobia rinunciano a dedicarsi ad attività piacevoli come lo sport, un giorno in piscina o una doccia prolungata. Non sia mai che possano essere viste, che vedano se stesse allo specchio, che mettano allo scoperto un corpo che detestano…

Smettono di vivere in compagnia del loro corpo, in simbiosi con esso. Trasformano la loro vita in uno scenario di battaglia perenne. Una lotta spesso nata da un desiderio generalizzato o una censura imposta dalla società, che fa puntare quel dito critico totalmente inconsapevole dei concetti di compassione, comprensione o affetto.


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