"So cosa provi", è davvero così?

Dicendo a qualcuno che sta soffrendo "so cosa provi" rischiamo di sminuire le sue emozioni. Perché in realtà, nessuno di noi può immaginare quello che un'altra persona sta passando. Che sia un amico, un familiare o persino un bambino.
"So cosa provi", è davvero così?
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

In un primo momento che qualcuno ci dica “so cosa provi” può sembrare un bel gesto di empatia. Tuttavia, da un punto di vista psicologico, non è sempre così. In realtà non possiamo minimamente immaginare la realtà emotiva che una persona sta attraversando; di conseguenza, è sempre meglio saper ascoltare e trasmettere il nostro completo sostegno e la nostra vicinanza.

Può sembrare un paradosso, ma spesso nemmeno noi sappiamo come ci sentiamo. Quindi, il famoso e di frequente ripetuto “so cosa provi” non è l’ideale. Tuttavia, non tutti siamo esperti di counselling, né esperti psicologi, per cui capita che queste situazioni siano all’ordine del giorno.

Viviamo queste situazioni anche con quelle persone che ci sono più vicine. Non è raro che i genitori ricorrano a questa frase quando parlano con i propri figli. Dire “so cosa provi” fa scendere a zero le possibilità che il bambino ci dica a parole sue cosa sta vivendo.

Non possiamo dimenticare che ognuno di noi, ogni essere umano è un universo a sé, abitato, a volte, da sistemi immersi nel caos, da pianeti alla deriva e da piccoli buchi neri che nessuno di noi può vedere a occhio nudo.

Fai chiarezza su chi sei ed esprimi ciò che provi, perché chi si sente offeso da ciò non conta, e a coloro che contano non darà fastidio.

-Fritz Perls-

So cosa provi solitudine

Quando ci dicono “so cosa provi” non sempre lo sanno

Le persone, in generale, hanno una cattiva abitudine: danno le cose per scontato, invece di domandare se sono davvero come pensano. Il motivo di ciò risiede nel fatto che si preferisce dire la propria invece di indagare sullo stato emotivo altrui; e questo perché questo modus operandi richiede meno sforzo cognitivo e fa risparmiare tempo.

Ad esempio, quando un collega di lavoro ci confessa di aver avuto un litigio con il proprio partner, molto probabilmente si sentirà dire “so cosa provi”. Dirlo può farci pensare di star creando empatia e connessione con chi abbiamo di fronte. Dimentichiamo che la trama emotiva di un’altra persona non somiglierà mai alla nostra. Nessuna realtà interna è uguale a un’altra.

Lungi dall’essere ricettivi nei confronti della realtà personale della persona con cui ci interfacciamo, in realtà è “convalidiamo” le nostre realtà. E questo ci aiuta.

Abbiamo una naturale predisposizione alla connessione, ma non sempre lo facciamo bene

In uno studio condotto presso l’Università della Virginia, dai medici Lane Beckes e James A. Coan, è stato dimostrato un aspetto interessante. Il cervello umano prevede una serie di schemi neuronali orientati esclusivamente alla connessione con gli altri. Spesso lo facciamo così intensamente da riuscire a provare la stessa sofferenza della persona che abbiamo davanti.

Ora, “sapere cosa prova l’altra persona” non sempre ci permette di comprendere a pieno la sua realtà personale. Una madre può soffrire per suo figlio e non sapere cosa gli sta succedendo. Un amico può soffrire per un altro e, tuttavia, non sapere davvero cosa gli sta capitando. Ecco perché è importante stabilire una connessione corretta e, anzitutto, rispettosa.

Dire “so cosa provi” non è la giusta strategia. In nessun caso.

Connessioni neuronali so cosa provi

Qual è il modo migliore di stabilire un contatto con chi sta passando un brutto momento?

Che sia un bambino, un adolescente, il nostro miglior amico, un anziano o uno sconosciuto, dobbiamo evitare -per quanto possibile- il banale “so cosa provi”. Non dovremmo nemmeno supporre che avendo vissuto la stessa situazione, due persone avvertano le stesse emozioni.

Ad esempio, in uno studio condotto dall’Università di Ginevra dai dottori Klaus R. Scherer e Agnes moors è stato eseguito un curioso esperimento. A un campione di 3000 adulti è stata posta la stessa identica domanda: “come si sentirebbe ascoltando due amici parlare male di lei?”

Ebbene, con grande sorpresa, sono stati individuati ben 14 emozioni. C’era chi provava rabbia. Altri vergogna e sconforto. Alcuni provavano senso di colpa, altri solitudine e altri addirittura indifferenza, adducendo che chi parla male alle spalle di qualcuno non è un amico.

Sulla base di ciò, passiamo a vedere quali alternative possiamo mettere in pratica per evitare il “so cosa provi”

Espressioni per sostituire il “so cosa provi”

Innanzitutto, la cosa importante è saper ascoltare il  nostro interlocutore. Non dimenticate mai che determinate frasi e parole possono alzare dei muri.

  • Eviteremo espressioni come: non è nulla, anche io ci sono passato, la stai prendendo troppo male, ti succede sempre la stessa cosa, devi cambiare approccio, ecc.
  • Invece di dire “so cosa provi”, sostituiamo questa espressione con “dimmi cosa provi”. 
  • Non sempre è facile esprimere o descrivere quello che proviamo. Le emozioni sono complesse, caotiche, e accettarle -così come tradurle in parole- richiede tempo. Di conseguenza, è l’altra persona, per prima, che ha bisogno di sentirsi al sicuro e supportata in quel momento. 
Mani che si toccano

A volte dire “sono qui con te” vale più di qualunque altra espressione. In fin dei conti, si tratta di far sentire che ci siamo, di creare un clima di vicinanza in cui non dare nulla per scontato, dove non sentenziare né dare giudizi e né  scavalcare l’altro. Riflettiamoci.


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  • Klaus R., y Scherer, AM (2019) El proceso de la emoción: evaluación de eventos y diferenciación de componentes. Revisión anual de psicología 70: 1

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