Terapia junghiana per trattare l'ansia

La terapia junghiana ci offre utili strumenti per trattare l'ansia in modo sano e creativo sulla base dell'autorealizzazione
Terapia junghiana per trattare l'ansia
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

La terapia junghiana segue una premessa centrale per trattare l’ansia: i nostri pensieri e le nostre convinzioni possono rivelarsi i nostri principali nemici, soprattutto se ci opponiamo o siamo incapaci di gestire quello che ci paralizza, che ci preoccupa. Per liberarci di questo peso, dobbiamo saper accettare e approfondire il problema alla radice e in modo creativo.

Se c’è una parola che definisce la terapia junghiana è senz’altro “autorealizzazione”. Uno degli aspetti che ha da sempre allontanato lo psichiatra svizzero dai concetti di Sigmund Freud è legato proprio alla sua idea che l’essere umano sia orientato verso un’unica pulsione: sentirsi realizzato.

Ciò nonostante, per generazioni e generazioni siamo stati condizionati dall’ansia. Il motivo di ciò era chiaro agli occhi di Jung: il mondo non sempre appare come un luogo sicuro.

“Lo psicoterapeuta deve vedere ciascun paziente e ciascun caso come inedito, unico, meraviglioso ed eccezionale. Solo così si avvicinerà ancor di più alla verità.”

-Carl Jung-

L’intero tessuto sociale che ci circonda, le istituzioni, le autorità e persino il flusso di modernità nel quale ci muoviamo tutti i giorni non si rivelano scenari facili. Al contrario, la sensazione di insicurezza che diffondono si aggiunge all’insoddisfazione psichica, alla sensazione di mancata libertà, di non poterci realizzare appieno come esseri umani. La pressione esterna frammenta il nostro Io e, anziché farci carico di questa tensione interna, scegliamo di opporci a essa, stoicamente.

Ma proprio come ci ricorda Carl Jung, tutto ciò a cui ci opponiamo, perdura. Analizziamo insieme i pilastri della terapia junghiana.

Mano e uomo

Le chiavi della terapia junghiana per trattare l’ansia

La terapia junghiana è un approccio psicoterapeutico specializzato piuttosto distante, in termini metodologici, a quelli più comuni (come la terapia cognitivo-comportamentale o quella umanista). Tuttavia, l’università di Berkeley, in California, forma i suoi alunni sulla base di questo approccio da più di 40 anni.

Se vi state chiedendo se è efficace per il trattamento degli stati d’ansia, ebbene sappiate che questa teoria presenta alcuni punti piuttosto interessanti che vale la pena di considerare. Vediamoli nei seguenti paragrafi.

1. L’ansia è una caratteristica umana, ma va individualizzata

La terapia junghiana parte da concetti come gli archetipi o l’inconscio collettivo per evidenziare l’idea secondo cui gli esseri umani condividono uno stesso substrato psichico caratterizzato da elementi comuni. Esistono degli istinti, delle ombre, delle pulsioni che tutti condividiamo allo stesso modo.

L’ansia è quel tappeto sul quale, in qualche modo, tutti ci muoviamo ogni giorno. È un’emozione carica di sofferenza che scaturisce da quanto segnalato: la sensazione di vivere in un mondo che non è sempre sicuro.

Sebbene tutti gli esseri umani condividano questa dimensione comune (in maniera latente o manifesta), il focus junghiano prevede un elemento che fu chiarito dallo psichiatra attraverso la psicologia analitica. Siamo obbligati a individualizzarci. A emergere dal tessuto che condividiamo per diventare essere autonomi e indipendenti.

In questo modo, tutte le persona che lottano ogni giorno contro l’ansia devono essere in grado di definire cosa provano, percepiscono e, soprattutto, di cosa hanno bisogno.

La terapia junghiana usa una metodologia vicina, un procedimento dialettico secondo cui il terapeuta è capace di entrare in connessione con la personalità del paziente e farlo sentire a suo agio e autonomo. Deve diventare l’agente attivo della sua guarigione.

Testa in acqua con castello e barca

2.Riconoscere l’ombra o le radici dell’ansia

Un altro pilastro della terapia junghiana per trattare l’ansia è risalire alla causa originale di questo stato, alla radice del problema che genera questa sofferenza psichica.

Si tratta dunque di riconoscere la nostra ombra, quel lato scuro della nostra personalità che bisogna far riemergere alla luce. Allo stesso tempo, il terapeuta deve individuare i complessi affettivi (bisogni, ossessioni, sentimenti di ammirazione…) del paziente.

Per riuscirci, questa metodologia parte dalle seguenti strategie:

  • Terapia di conversazione
  • Interpretazione dei sogni
  • Associazione di idee
  • Tecniche creative

È necessario stabilire un’alleanza con il terapeuta per poter abbordare il proprio inconscio. Per poter guarire, bisogna sapere cosa giace in questa complessa struttura psichica spesso piena di nodi, buchi neri e bisogni trascurati.

3. Frenare l’istinto di opporsi: l’accettazione per essere liberi

La terapia junghiana ha un unico proposito per il trattamento dell’ansia: l’individuazione. Favorire l’autonomia psichica ed emotiva dell’individuo richiede la capacità di frenare il suo istinto di opporsi, di debellare il suo desiderio di fuggire da quello che lo preoccupa o intimorisce.

Le paure si affrontano, le angosce si alleviano riconoscendole e privandole del potere che hanno sul nostro corpo e sulla nostra mente. Soltanto quando inibiremo l’istinto di opporci a esse vedremo nascere un Io più forte e luminoso.

Secondo Carl Jung, quanto più impegno mettiamo per scacciare un pensiero negativo o perturbatore, maggior potere acquisirà su di noi. Negare, fuggire o resistere a qualcosa aggrava la sintomatologia associata all’ansia: aumenta il nervosismo, l’inquietudine, l’agitazione.

La terapia junghiana ci guida anche in un altro senso: accettare l’ansia come parte dell’essere umano, intenderla come un elemento a cui non opporsi, pur senza lasciare che prenda il controllo, onde non perdere del tutto la nostra autonomia.

Matita che unisce due dirupi

Trovare uno scopo

La terapia junghiana riconosce che, con maggiore o minore frequenza, consumiamo le nostre riserve energetiche. Sono molti coloro che soffrono di tristezza cronica e di una mancanza di motivazione che nasce quasi sempre dallo stesso punto: l’assenza di un proposito, non trovare un significato che dia senso alle cose.

Questa terapia offre i mezzi adeguati per permettere alla persona di trovare un nuovo focus vitale. Così facendo, la aiuta a costruire un proposito vitale vibrante e adatto ai propri bisogni. Partendo da questo ritrovato significato, si possono placare le ansie e le paure canalizzandole verso le nuove mete personali.

Per concludere, la terapia junghiana costituisce un altro approccio psicologico per trattare la depressione. Ristabilire l’equilibrio emotivo a partire dal nostro inconscio, dai nostri blocchi, dalle nostre paure e ombre è una strategia a cui vale la pena di dare un’opportunità.

Occorre anche sottolineare che la terapia junghiana conta oggigiorno su svariati studi che ne avvallano l’efficacia. Vi consigliamo dunque di dare una possibilità a questo viaggio terapeutico che favorisce l’autoconoscenza e la libertà personale.


Questo testo è fornito solo a scopo informativo e non sostituisce la consultazione con un professionista. In caso di dubbi, consulta il tuo specialista.