Violenza subita da bambini: i segni sul cervello

La violenza nei confronti di un bambino è il modo peggiore e più diretto per privare una persona di buona parte della sua salute psicologica per il resto della vita.
Violenza subita da bambini: i segni sul cervello
Cristina Roda Rivera

Scritto e verificato la psicologa Cristina Roda Rivera.

Ultimo aggiornamento: 25 gennaio, 2023

Sugli effetti cognitivi della violenza subita da bambini si sono pronunciati psicologici, neurologi e psichiatri. Molti psicologici affermano che il trattamento psicologico non deve tenere conto di dati presentati da varie discipline che sostengono l’eziologia organica dei disturbi, poiché gli aspetti organici non competono gli psicologici in merito al trattamento.

Tuttavia, è nostro dovere poter contare sulla maggiore quantità possibile di informazione. Ad esempio, se diversi studi mettono in evidenza che varie persone che hanno subito violenza da bambini mostrano un’alterazione delle loro capacità motorie, questa informazione può risultare molto preziosa al fine di comprendere determinati comportamenti.

Probabilmente il cammino verso una vita autonoma è diverso per le persone che presentano specifiche alterazioni organiche o neurochimiche. Ad esempio, sappiamo che vari studi presentano dei dati a supporto dell’ipotesi secondo la quale le persone vittime di abusi e maltrattamenti da bambini presentino un anomalo sviluppo cerebrale.

Bambino vittima di abusi

Studi sulla violenza subita da bambini: i segni sul DNA e sul cervello

Diversi studi hanno evidenziato gli effetti della violenza subita in età infantile sul DNA e sul cervello. Non determinano se si tratti di segni irreversibili, visto che questo dato rientra più nel campo dell’intervento terapeutico.

Vi invitiamo ad approfondire gli studi di ricerca più importanti degli ultimi dieci anni, per concludere con un ultimo studio pubblicato nel 2019. Mette in evidenza l’integrità di tutti i dati raccolti finora su questo argomento.

Violenza subita da bambini: studi di ricerca condotti nel 2009 in Canada

Nel marzo del 2009 un gruppo di ricercatori dell’Università McGill di Montreal ha pubblicato sulla rivista Science et Vie un articolo sulle conseguenze genetiche dell’abuso sessuale infantile. Lo studio sosteneva che l’abuso sessuale infantile è associato a un maggiore rischio di depressione in età adulta. 

Lungi dall’essere solo psicologica, questa fragilità è anche genetica, più precisamente epigenetica. Questo aspetto è stato scoperto dal gruppo di ricerca dell’Università McGill a seguito di uno studio sul cervello di 24 vittime morte suicide, 12 avevano subito abusi sessuali da bambini.

Questi ultimi dati hanno dimostrato un crollo nell’espressione del gene NR3C1, coinvolto nella risposta allo stress. Un’anomalia che spiega la vulnerabilità e la maggiore tendenza al suicidio.

Sapevamo già che il contesto potrebbe influire sui nostri geni, ma questo sorprendente studio dimostra che il trauma può persino alterare la nostra identità genetica, interferendo direttamente sul DNA.

Studi di ricerca condotti nel 2012 in Svizzera

Nel 2012 il professore Alain Malafosse, del Dipartimento di Psichiatria della Facoltà di Medicina dell’Università di Ginevra, ha dimostrato che la violenza in età infantile può lasciare le sue tracce sul DNA.

Gli studi hanno rivelato che lo stress provocato dalla violenza subita da bambini stimola la metilazione genetica (ovvero modificazione epigenetica) a livello del promotore del gene del recettore dei glicocorticoidi (NR3C1), che agisce sull’asse ipotalamico-ipofisario-surrenale.

Questo asse interviene nel meccanismo di gestione dello stress; quando viene alterato, interrompe la gestione dello stress in età adulta e può indurre allo sviluppo di psicopatologie, come il disturbo borderline di personalità.

I meccanismi di regolazione dello stress cerebrale possono vedersi a lungo alterati in caso di maltrattamento ripetuto in età infantile. Il trauma è, pertanto, parte del genoma di tutte le nostre cellule.

Abusi in età infantile: ricerche condotte nel 2012 in Germania e in Canada

Al 2013 si deve uno studio condotto da un gruppo di scienziati guidato dalla professoressa Christine Heim, direttrice dell’Istituto di Psicologia Medica dell’Ospedale Universitario Charity di Berlino, e dal professore Jens Pruessner, direttore del Centro di Studi sull’Invecchiamento della stessa Università.

Sono state analizzate immagini di risonanza magnetica per esaminare 51 donne adulte vittime di diverse forme di abuso infantile. Gli scienziati hanno misurato lo spessore della loro corteccia cerebrale, la struttura responsabile dell’elaborazione di tutte le sensazioni.

I risultati hanno mostrato che esiste una correlazione tra diverse forme di abuso e l’assottigliamento della corteccia, nello specifico nelle regioni del cervello che intervengono nella percezione dell’abuso.

Ricerche attuali sul rapporto tra violenza subita in età infantile e consumo di droghe

Il Dr. Martin Teicher e i suoi colleghi sono riusciti a ottenere immagini di risonanza magnetica (RMN) di 265 adulti tra i 18 e i 25 anni. Si sono poi basati sulla risposta dei giovani a una serie di strumenti di sondaggio, come il sondaggio TAI e il questionario sui traumi dell’infanzia ACE. I ricercatori sono giunti alla conclusione che 123 soggetti avevano subito violenza fisica, emotiva o sessuale.

I ricercatori hanno poi confrontato le immagini di risonanza magnetica delle vittime di violenza con quelle dei 142 partecipanti che non avevano subito maltrattamento.

L’analisi dimostrò che il maltrattamento era associato ad alterazioni nell’architettura della rete corticale. Nello specifico, alla corteccia cingolare anteriore sinistra (responsabile di regolare emozioni e impulsi), all’insula anteriore destra (percezione soggettiva delle emozioni) e al precuneo destro (responsabile del pensiero egocentrico).

L’aumento di attività dell’insula anteriore suggerisce anche che nell’individuo nasce l’irrazionale e incontrollabile desiderio di consumare droghe, nonostante le conseguenze.

Donna che piange

Altre conseguenze degli abusi subiti in età infantile

Questo trauma interferisce anche con la memoria, con l’attenzione e con la capacità di conoscere se stessi. Vale a dire che essendo colpita la circonvoluzione frontale mediale, le persone che hanno vissuto o assistito ad atti violenti possono:

  • Soffrire di lievi perdite di memoria riguardo a periodi della propria vita.
  • Mescolare pensieri, intenzioni o convinzioni.
  • Affrontare alterazioni cognitive e percettive che li portano a reagire emotivamente in modo esagerato.
  • Soffrire di piccoli errori di coordinazione motoria e di percezioni sensoriali che le fanno apparire goffe o poco a proprio agio nel proprio corpo.

Le regioni che partecipano al monitoraggio della coscienza interna delle emozioni si trasformano in nuclei di attività fortemente associati e possono esercitare una maggiore influenza nel comportamento. Allo stesso tempo, le regioni che controllano gli impulsi perdono connessioni e restano relegate a un lavoro meno centrale all’interno della rete.

Tali cambiamenti possono fondare le basi per un rischio maggiore di consumo di droghe e per altri disturbi che riguardano la salute mentale.


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