Apprendimento latente: di cosa si tratta?
Avete mai provato la sensazione di aver imparato qualcosa senza rendervene conto? Non si tratta di magia o di un incantesimo cognitivo. L’apprendimento latente descrive tutte quelle situazioni nelle quali assimiliamo inconsciamente le nozioni senza bisogno di rinforzi. Un processo che sia gli animali sia gli esseri umani sviluppano attraverso l’osservazione.
Immaginiamo di percorrere per due settimane lo stesso tragitto in auto, con un amico, per raggiungere un nuovo posto di lavoro. In seguito, quando guideremo da soli, ci renderemo conto di poter percorrere lo stesso percorso senza il GPS.
Oppure, pensiamo a un bambino che passa i primi anni a osservare i comportamenti dei genitori a tavola. Prima o poi, il piccolo acquisirà le stesse abitudini e gli stessi gesti.
Non sempre è necessario che ci venga detto come fare qualcosa. Tantomeno abbiamo bisogno di essere ricompensati o motivati per acquisire un determinato comportamento.
Spesso integriamo le nozioni e i comportamenti attraverso la semplice esposizione all’ambiente. Ed è proprio questo il senso dell’apprendimento latente. Comprendere il modo in cui il cervello apprende è un tema estremamente interessante.
Spesso il prodotto dell’apprendimento si esprime quando è necessario usarlo. Ognuno di noi ha in sé un tesoro nascosto di conoscenze, acquisite attraverso l’ambiente, da mettere in pratica al momento giusto.
In cosa consiste l’apprendimento latente?
L’apprendimento latente indica le conoscenze che l’inconscio immagazzina senza il bisogno di ricompense esterne. L’aspetto più sorprendente di questa abilità è che non si è consapevoli di aver imparato qualcosa finché non arriva il momento giusto e si presenta la possibilità concreta di dimostrare tale conoscenza integrata.
Facciamo un esempio. Per gran parte della nostra infanzia e adolescenza, abbiamo visto i nostri genitori preparare un piatto specifico. Più in là nel tempo, trovandoci soli a casa, riusciamo a preparare lo stesso piatto alla perfezione.
L’apprendimento latente non emerge in forma immediata, ma solo quando la persona ha la necessità di applicare le nozioni acquisite.
A questo punto, qualcuno potrebbe pensare: ma non funziona così anche nell’apprendimento sociale? Non integriamo le nuove informazioni e il comportamenti, limitandoci a guardare (imitando) quello che fanno gli altri?
In realtà, ci sono alcune sfumature che rendono l’apprendimento latente qualcosa di unico. Nelle prossime righe approfondiremo l’argomento.
Le persone non mostrano l’intenzione di acquisire conoscenze
Tale concetto è stato espresso all’inizio del XX secolo da Edward C. Tolman. Egli ha sviluppato la sua idea dopo aver scoperto, nel suo laboratorio, come i ratti imparassero a destreggiarsi in labirinti complessi senza ottenere alcuna ricompensa.
Spesso, era sufficiente che trascorressero un solo giorno nel labirinto per ripercorrerlo senza errori e senza bisogno di rinforzi, qualche settimana dopo. Tali risultati sarebbero poi stati estesi all’ambito umano per dimostrare una serie di aspetti:
- Gli esseri umani, spesso, non mostrano alcuna intenzione o volontà di imparare qualcosa. Interagiamo con l’ambiente come se fosse una cosa normale. Comunichiamo tra noi, guardiamo la TV, usiamo le reti sociali, ci occupiamo di ciò che accade intorno a noi e di ciò che le persone fanno o non fanno.
- Nessuno ci insegna delle cose concrete, ma il cervello apprende alcuni aspetti specifici. Tali apprendimenti vengono messi in pratica al momento opportuno e quando necessario. È un tipo di apprendimento latente che può più o meno essere dimostrato.
Apprendimento latente nei bambini
Ora sappiamo che l’apprendimento latente origina dalla ritenzione di determinate informazioni da parte del subconscio senza alcun rinforzo o motivazione.
Ciò risulta particolarmente interessante per il seguente motivo: diamo quasi sempre per scontato che i bambini imparino di più quando ricevono una ricompensa. Per esempio il tipico rinforzo verbale “sei stato bravo”.
Dalla formulazione della teoria di Edward C. Tolman in poi, sono state sviluppate numerose ricerche per comprendere un che modo questa competenza si manifestasse nei bambini.
Lo studio condotto negli anni 50 dal Dr. Harold W. Stevenson hanno dimostrato l’esistenza dell’apprendimento latente nei bambini e che tale modalità tende a svilupparsi nel tempo.
Perciò, tutto quello che vedono, che sentono, che li circonda e che fa parte della loro vita quotidiana viene integrato nella loro mente in modo silenzioso e involontario. Al momento giusto, saranno poi in grado di applicare ciò hanno imparato inconsciamente, nel bene o nel male.
Non sempre abbiamo bisogno di stimoli per imparare: la dopamina
Quando si parla dei meccanismi con cui il cervello immagazzina il sapere, si fa spesso riferimento alla dopamina. Questo neurotrasmettitore è coinvolto nella motivazione all’apprendimento e nell’integrazione delle nuove informazioni. Tuttavia, l’apprendimento latente, rappresenta in questo caso, una curiosa eccezione.
La motivazione non è sempre alla base del processo di assimilazione delle nuove conoscenze, così come non lo è l’aumento dei livelli dopamina. Il cervello è un organo sociale che necessita di osservare e integrare le informazioni per sopravvivere. Lo fa automaticamente, ovvero, registra costantemente dati e stimoli senza che ce ne rendiamo conto.
È sufficiente trovarsi in una situazione specifica per mettere in atto le conoscenze inconsce che non sappiamo di possedere. Come le neuroscienze insegnano, non vi è nulla di misterioso. Tuttavia, esistono casi in cui l’apprendimento latente è di per sé inibito.
Per esempio quando assumiamo troppo alcol oppure quando siamo sottoposti a elevati livelli di stress. In simili condizioni, la mente non è più in grado di elaborare gli stimoli provenienti dall’ambiente.
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