Cuore di ghiaccio: non riuscire a esprimere i propri sentimenti

Cuore di ghiaccio: non riuscire a esprimere i propri sentimenti
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

L’affetto e le sue dimostrazioni quotidiane sono senz’altro il tendine psicologico ed emotivo che sostiene ogni relazione felice e duratura. Tuttavia, c’è chi non sa, non riesce o si rifiuta di dare forma a questo linguaggio. Tali persone vengono definite dal cuore di ghiaccio; sono individui pieni di contraddizioni, di paure e avvolte da fil di ferro causando profonda tristezza ai propri coniugi e anche ai propri figli, perché incapaci di esprimere i propri sentimenti.

Non è una sorpresa che tanto l’affetto come la stessa comunicazione affettuosa siano la pietra angolare su cui si regge ogni vincolo significativo. Lo sono al punto da essere la causa principale per cui molte persone vanno in terapia di coppia. È molto comune, infatti, che un membro della coppia dichiari di non sentirsi riconosciuto o apprezzato o persino che esista una evidente disuguaglianza tra quello che offre e quello che riceve.

Molti psicoterapeuti definiscono questo problema come skin hunger, ovvero fame di pelle, anche se in realtà si tratta di un problema che va ben oltre i sensi. Parliamo di emozioni non convalidate, di difficoltà a esprimere i propri sentimenti, i quali non vengono solo trascurati, bensì talvolta trattati con ostilità e freddezza. Poche situazioni possono essere così distruttive per una persona come vedersi avvolta da tale tessitura, in un abissale vuoto emotivo nel quale, prima o poi, si inizia a dubitare della relazione e di essere amati davvero…

Braccia congelate

L’affetto e la nostra sopravvivenza emozionale

Le persone non hanno bisogno solo di alimenti per sopravvivere, nutrienti dai quali ottenere energia affinché le cellule possano realizzare tutti quegli affascinanti processi che ci permettono di andare oltre la mera sopravvivenza. Per quanto possa sembrare strano, anche l’affetto ci nutre, ci offre forza e senso di appartenenza a un ridotto gruppo di persone con le quali ci identifichiamo e discutiamo, ma che ci fanno anche sentire sicuri e felici: i nostri amici e la nostra famiglia.

Un esempio di tutto ciò si ha in Juan Mann, fondatore del celebre movimento Free Hugs. Questo giovane si sentiva così privato di contatto umano che per diverso tempo pensò al peggio. Abbandonato dalla sua ragazza, dagli amici, con i genitori divorziati e la nonna malata, si sentiva morire. Un giorno, però, durante una festa, accadde una cosa meravigliosa, una ragazza lo abbracciò spontaneamente, empatizzando con la sua tristezza. Il freddo, per un momento, abbandonò il suo cuore e il mondo recuperò armonia, equilibrio e, soprattutto, senso.

Dopo questa breve esperienza, Juan Mann, decise di andare in strada con un cartellone nel quale annunciava che si offriva ad abbracciare chiunque ne avesse  bisogno. Fu terapeutico, fantastico, sensazionale…Si sentiva così privato di contatto e affetto che la sua mente rasentava già l’abisso della depressione, della disperazione estrema.

Juan Mann che dà abbracci gratis

Non era mai stato così felice e, infatti, proprio come spiega egli stesso in un documentario, l’aspetto che più lo affascinava era vedere come la gente si avvicinava prima stranita, ma che dopo essersi separati dall’abbraccio, avevano tutti un gran sorriso stampato in volto: ne uscivano tutti vittoriosi.

Cuore di ghiaccio o l’incapacità di offrire affetto

Sappiamo già che offrire affetto è “primitivo” e necessario, non lo vediamo solo tra noi esseri umani, anche i nostri amici animali sono sempre in cerca di quella carezza, di quello sguardo tramite cui emozionarsi con la nostra complicità, con le  nostre dolci parole. Se queste connessioni sono naturali, istintive e magiche, allora perché vi sono persone che agiscono come se avessero un vero e proprio cuore di ghiaccio?

  • Prima di tutto, dobbiamo comprendere che non esiste una sola causa relazionata a questa difficoltà emotiva. Non possiamo raggruppare tutti questi comportamenti sotto la stessa etichetta né concepire tale incapacità come patologica, come un disturbo.
  • Nella maggior parte dei casi vi è una bassa autostima Questa mancanza di sicurezza in se stessi porta tali individui a stare sempre sulla difensiva nelle loro relazioni affettive. In questo modo cercano di ridurre al massimo il rischio di sentirsi rifiutati o, peggio ancora, evitano di mostrare quello che intendono come “vulnerabilità”.

Ovvero, se mi dimostro caloroso, affettuoso e sensibile con gli altri, evidenzio la mia fragilità interiore, la mia bassa autostima. La cosa più prudente, dunque, è mantenere le distanze, evitare le dimostrazioni di affetto e, con ciò, salvaguardare la mia (falsa) apparenza di persona forte.

Ragazzo triste che guarda dalla finestra
  • D’altro canto, esiste un altro aspetto che non possiamo trascurare: lo stile educativo. Nascere e crescere in un ambiente caratterizzato dalla totale privazione di affetto, nel quale l’attaccamento è insicuro o persino  inesistente porterà di certo la persona a non comprendere, non valorizzare, non avere il coraggio di offrire questo linguaggio emotivo che, in qualche modo, non ha potuto conoscere durante la sua infanzia. Da ciò deriva la sua difficoltà a esprimere i propri sentimenti.
  • Non dimentichiamo nemmeno le manifestazioni alessitimiche. Lì dove non esiste solo incapacità di mostrare le proprie emozioni, ma anche una mancanza di introspezione, empatia e uno stile cognitivo orientato solo verso l’esterno, la razionalità e la concretezza. Tuttavia, ed è importate tenerne conto, la alessitimia, o analfabetismo emotivo, si presenta in molti casi in soggetti ai quali è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico (ASD).

Infine, e per concludere, non possiamo ignorare un ultimo dato. Non possiamo forzare queste persone a esprimere il loro affetto, poiché tale strategia non sortisce alcun effetto. Viceversa, provarci in modo molto diretto può causare un risultato controproducente, opposto a quello desiderato. Non dimentichiamo che non riescono a esprimere i propri sentimenti.

L’ideale è lavorare partendo dai bisogni di ogni persona, dalla sua realtà psicologica e affettiva. Nella maggior parte dei casi, la strategia terapeutica più logica si orienterà sulla crescita dell’autostima del soggetto, al fine di costruire una immagine di sé più positiva e sicura.


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  • Meza-Concha, N., Arancibia, M., Salas, F., Behar, R., Salas, G., Silva, H., & Escobar, R. (2017). Towards a neurobiological understanding of alexithymia. Medwave17(04).
  • Chiquito Benítez, M. B. (2022). Empatía y alexitimia en estudiantes de psicología clínica de la Universidad Central del Ecuador, período 2021 (Bachelor’s thesis, Quito: UCE).

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