Disconnessione emotiva: ascoltare senza empatia

Ascoltare senza empatia è una pratica dolorosa per chi la mette in pratica e per chi la percepisce ma non fa nulla per cambiare le cose.
Disconnessione emotiva: ascoltare senza empatia
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

La disconnessione emotiva, ovvero ascoltare senza empatia, è come guardare senza vedere. È dire di sì con il volto, ma avere la mente assente, disconnessa ed emotivamente lontana dalla persona che si ha davanti. Poche competenze sono fondamentali per costruire relazioni forti e significative come la comunicazione e l’ascolto attivo, quello per il quale si creano connessioni con occhi, sentimenti e volontà.

Soltanto pochi mesi fa l’esperto di scienze cognitive e psicologo presso l’Università di Yale Paul Bloom ha scosso il mondo della psicologia dando voce ad alcuni commenti discutibili sulla disconnessione emotiva e l’empatia. Secondo lui, questa dimensione ha ben poco di positivo. Per capire meglio cosa voleva dire, occorre però approfondire il suo messaggio.

Secondo il professor Bloom, talvolta dietro l’empatia si nasconde un atto di sibillina falsità. Una persona può mostrarsi empatica verso quello che il proprio partner le sta dicendo, ma provare in realtà la più assoluta indifferenza. In altre parole, tutti siamo capaci di metterci nei panni degli altri, ma agire poi nella più totale indifferenza.

È quindi assolutamente giusto dire che l’empatia non serve a nulla se non è accompagnata da un atteggiamento proattivo e una sensibilizzazione autentica nei confronti della persona che abbiamo davanti. Ma come segnala il professor Bloom, c’è di più: alcune persone agiscono in maniera empatica non per aiutare gli altri, ma soltanto per sentirsi bene con se stesse.

Tutto questo ci può aiutare ad affinare un po’ l’idea che abbiamo di questa caratteristica. Non basta essere presenti, mostrarci aperti e comprensivi verso la realtà dell’altra persona. È fondamentale manifestare in maniera attiva quel vincolo, quel sentimento.

“Il regalo più prezioso che possiamo fare a qualcuno è la nostra presenza. Quando dedichiamo agli altri la nostra piena attenzione, essi sbocciano come fiori.”

-Thich Nhat Hanh-

Continuate a leggere per scoprire perché la disconnessione emotiva è dolorosa.

Bambino triste

Disconnessione emotiva, una pratica tristemente comune

Ascoltare senza empatia è una pratica più comune di quanto ci aspetteremmo. Alle volte siamo talmente abituati ad “automatizzare” le nostre interazioni quotidiane che non percepiamo neanche l’assenza di connessione emotiva che, senza accorgercene, dirigiamo a chi abbiamo davanti.

Un esempio caratteristico di questo fenomeno sono i genitori che rispondono in maniera quasi automatica ai loro figli. Quando li vanno a prendere a scuola e questi raccontano loro quello che hanno fatto, le loro risposte sono quasi sempre le solite: “Sì, il tuo disegno è molto bello” o “Davvero? Che interessante”.

Queste dinamiche non vuol dire che non si voglia bene ai figli. Semplicemente rivelano che a volte non abbiamo tempo per essere presenti e ci limitiamo ad ascoltare senza essere empatici, perché la vita va di corsa e le nostre giornate ci occupano la mente.

Risposte non empatiche che ostacolano la connessione emotiva

Abbiamo provato tutti la sensazione di parlare a una persona che sembra assente, che fa di sì con la testa ma che in realtà si trova a chilometri di distanza da noi. Ebbene, un altro scenario comune è quello in cui riceviamo risposte, commenti o riflessioni che anziché esserci utili, agiscono da muri. Come connessioni emotive fatte di filo spinato.

Sono le seguenti:

  • Risposta consulenziale: quello che dovresti fare è…
  • Risposta personale enfatica: sei un esagerato, non è nulla!
  • Risposta correttiva: quello che dici non è vero.
  • Risposta interrogativa: perché dici/pensi/fai così?
  • Risposta scusa: so che questo ti preoccupa ma in questo momento non posso aiutarti perché…

Con queste risposte ci rendiamo conto di come a volte è meglio non ricevere nessuna opinione. Oltre alla disconnessione emotiva, un altro problema diventa dunque quello di chi emette risposte che rompono la connessione empatica.

Coppia che discute

Coltivare autentica empatia con un atteggiamento attivo

Tutti possiamo essere (e sicuramente siamo) persone empatiche. Alcuni studi come quello realizzato dal Dottor Anthony David presso l’Istituto di Psichiatria del King’s College, a Londra, ci dimostrano che è possibile misurare l’empatia ed estrapolare il coefficiente empatico di ogni persona.

Se lo facessimo, ci renderemmo conto che possediamo tutti questa dote. Il problema è che a molti di noi manca la caratteristica fondamentale per poterla attuare: l’abilità sociale. In altre parole, siamo empatici ma non usiamo questa capacità in maniera efficiente. Ciò ci induce talvolta ad ascoltare senza empatia, a comprendere l’altro ma a rispondere in modo inadeguato o non autentico. Per questo, diventa fondamentale tenere a mente i seguenti consigli.

Come usare l’empatia in maniera efficace

  • Per mostrarsi empatici bisogna essere presenti, senza fretta e senza scuse.
  • L’atteggiamento empatico si attiva prima di tutto con lo sguardo. Dobbiamo imparare a guardare l’altro senza giudicare, con vicinanza e affetto.
  • Dobbiamo imparare a rispondere. Le critiche, i giudizi o i “io al posto tuo avrei fatto così” non sono d’aiuto in questi casi.
  • L’empatia deve essere innanzitutto proattiva. Chi si mostra comprensivo ma non fa nulla per dimostrarlo, si rivela un inganno e una delusione. Perché far credere all’altro di essere con lui, ma poi defilarci può ferire e lasciare cicatrici.

C’è sempre da imparare e da migliorare nella pratica quotidiana dell’empatia. Iniziamo a lavorare su noi stessi per poter dare il meglio di noi agli altri e prenderci cura così delle nostre relazioni. Ricordate: esse sono autentici tesori.


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  • Lawrence, EJ, Shaw, P., Baker, D., Baron-Cohen, S., y David, AS (2004). Medición de la empatía: fiabilidad y validez del cociente de empatía. Medicina psicológica , 34 (5), 911–919. https://doi.org/10.1017/S0033291703001624

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