Effetto spettatore: quando nessuno aiuta una persona in pericolo
Nel 1964 un omicidio, entrato a suo modo nella storia, scosse l’opinione pubblica statunitense. Una donna italo-americana fu accoltellata in strada in una zona residenziale di New York e morì a seguito delle numerose ferite subite. La notizia inizialmente non destò particolare attenzione, ma qualche settimana dopo non si faceva che parlare del cosiddetto “effetto spettatore.
Cos’era successo? I giornali avevano cominciato a diffondere la notizia che almeno 38 persone avevano assistito all’omicidio, ma nessuna era intervenuta. Il malvivente aveva impiegato mezz’ora per uccidere la ragazza, Kitty Genovese, senza essere fermato. Nessuno dei 38 testimoni aveva chiamato la polizia. 38 spettatori, nessun aiuto.
La notizia, in parte manipolata dai media, ebbe una forte eco. Per spiegare i motivi dell’indifferenza collettiva si parlò di decadenza morale, disumanizzazione come prodotto dell’ambiente urbano, alienazione e disperazione esistenziale.In realtà c’era dell’altro. Il caso di Kitty Genovese, entrato nei manuali di psicologia, illustra il fenomeno chiamato effetto spettatore.
L’effetto spettatore o di diffusione della responsabilità si riferisce a quei casi in cui una persona assiste a un crimine senza offrire alcun tipo di assistenza alle vittime se sono presenti altri testimoni.
Si tratta di un fenomeno ampiamente analizzato in psicologia sociale. Un altro modo per descriverlo è una constatazione matematica: in una situazione di emergenza più numerosi sono i testimoni, meno probabilità si ha di ricevere aiuto. Insomma, è più facile che si intervenga quando si è unici testimoni.
Effetto spettatore: quando nessuno interviene
Una persona che assiste a una situazione di emergenza, come un episodio di violenza o un omicidio, entra in conflitto. Nella mente agiscono norme etiche e morali che spingono a prestare aiuto, ma anche paure, razionali e irrazionali, su quanto può accadere a chi aiuta la vittima.
Dietro l’apparente apatia, si cela la paura del male fisico, del coinvolgimento a interrogatori e processi, la vergogna di essere sotto gli occhi dell’opinione pubblica e altri timori più imprecisati. In alcune circostanze le norme etiche che ci spingerebbero a intervenire a favore di un estraneo vengono soffocate.
Un elemento decisivo è la presenza di altri testimoni. Ogni spettatore è cosciente del fatto che più persone stanno osservando lo stesso evento criminoso, ma nessuno può prevedere come reagiranno gli altri.
All’effetto spettatore concorrono più fattori; innanzitutto la responsabilità di aiutare chi è in difficoltà viene ripartita tra tutti, così come la colpa di un mancato intervento. Spesso si è portati a pensare che qualcuno abbia già aiutato la vittima, senza che gli altri se ne siano accorti.
L’effetto spettatore non scatta se siamo gli unici testimoni
Se, in una situazione di emergenza, ci troviamo a essere gli unici testimoni, è ovvio che l’aiuto può provenire solo da noi. Naturalmente ognuno decide se vuole o può intervenire, ma la pressione del soccorso si concentra su di noi. Se tale pressione è invece ripartita tra più persone, è facile che nessuno si muova.
Un altro deterrente è il pensiero che la colpa di non essere intervenuti resterà comunque condivisa. Non sempre il comportamento morale dell’essere umano agisce in modo libero, senza tenere conto della possibile punizione o ricompensa personale.
È ragionevole pensare che se la responsabilità è collettiva, anche il castigo o la colpa derivanti da una scelta sia lieve o inesistente. Vale a dire, tendiamo a pensare “chiunque altro poteva intervenire, perciò non ho colpa per non averlo fatto”.
A quest’ora qualcuno sarà già intervenuto
Tendiamo a credere che altre persone siano state presenti all’evento, agendo forse nell’ombra o prima di noi. Ognuno può pensare che qualcun altro si sia già fatto carico della situazione e che stia prestando aiuto. Il nostro intervento potrebbe, quindi, essere ridondante se non addirittura intralciare i soccorsi.
Di conseguenza, in una situazione in cui sono coinvolti altri spettatori di cui non si può osservare il comportamento, ogni individuo razionalizza la propria inerzia con il pensiero “qualcun altro sta già risolvendo il problema”.
Più persone sono presenti, più è probabile che nessuno si muova
Il risultato è che più persone sono presenti, più è probabile che nessuno si muova o che l’aiuto arrivi più lentamente. È crudele, ma è la dura realtà dell’effetto spettatore.
È possibile dimostrare questa tesi? Alcuni esperimenti la confermerebbero. Per provarla, occorre creare a tavolino una situazione d’emergenza, impedendo la comunicazione tra testimoni o la possibilità di prevedere il comportamento altrui. Un esperimento del genere permette di valutare la velocità e la probabilità di reazione in una situazione critica.
L’effetto spettatore è presente in più sfere della vita quotidiana. Il bullismo, ad esempio, è una realtà diffusa nelle scuole. Perché nessuno aiuta la vittima? Questo fenomeno spiega, almeno in parte, il silenzio di chi si limita a osservare la violenza.
Lo troviamo anche in ambito lavorativo. Non è infrequente che si consumino sotto gli occhi di tutti ingiustizie salariali o di condizioni di lavoro. Perché nessuno cerca di rimediare? L’effetto spettatore può spiegare questa situazione.
Il caso di Kitty Genovese aprì, più di 60 anni fa, la discussione su questo fenomeno psicologico e sociale. Per una serie di motivi, siamo meno propensi ad aiutare gli altri quando la responsabilità è condivisa. E, tristemente, quando si agisce come parte della massa, è difficile che tale atteggiamento possa cambiare.