I neuromiti: quali sono i più diffusi?

Siete tra coloro che pensano che non utilizziamo per intero il nostro cervello? Pensate che i mancini siano più creativi? Queste idee si sono diffuse senza alcuna prova della loro veridicità. A seguire smonteremo alcuni neuromiti.
I neuromiti: quali sono i più diffusi?
María Vélez

Scritto e verificato la psicologa María Vélez.

Ultimo aggiornamento: 12 gennaio, 2023

Con il progresso, l’interesse verso le neuroscienze sta crescendo a livello esponenziale. In seguito a ciò, tuttavia, molte delle conoscenze e dei risultati delle ricerche vengono decontestualizzati o mal interpretati, dando luogo ai cosiddetti neuromiti.

Questi miti sulle conoscenze neuroscientifiche hanno attecchito soprattutto nell’ambito della formazione. Questo ha condotto genitori, professori e gli stessi alunni a credere a determinate convinzioni relative al cervello e all’apprendimento che non sono state del tutto verificate.

Queste informazioni distorte, oltretutto, hanno portato a metodi educativi e ad altre pratiche che non si basano su prove valide. A sua volta, ciò conduce a formulare giudizi e considerazioni errate che condizionano il metodo di insegnamento con cui gli educatori (genitori o professori) si approcciano ai giovani.

Cervello umano

Sfatare i miti

Tutti i neuromiti si basano sulla reale conoscenza scientifica. Tuttavia, le informazioni sono state distorte oppure l’attenzione si è concentrata solo su una parte delle stesse. A seguire, sfateremo i tre neuromiti più diffusi.

1. Utilizziamo solo il 10% del nostro cervello

Potremmo considerare questa affermazione il neuromito più diffuso, visto che è sulla bocca di educatori, stampa, parapsicologi, ecc. Il mito vuole che utilizziamo solo il 10% del cervello e che questa percentuale può crescere grazie all’impiego di tecniche di allenamento o di apprendimento, visto che l’altro 90% è libero e inutilizzato.

La verità è che il cervello è un organo molto complesso e che grazie alle sue funzionalità non può essere utilizzato al 100%. Questo non significa che le capacità non possano migliorare, quanto piuttosto che questi miglioramenti sono possibili lavorando per rafforzare le connessioni, creando nuove reti e migliorando la salute cognitiva. Non è questione di “spazio”.

Se il cervello si attivasse interamente, questo comporterebbe un enorme impiego di energie, oltre a dare il via a qualsiasi tipo di comportamento allo stesso tempo. Il cervello funziona con l’attivazione di diverse aree che entrano in contatto tra di loro, per mettere in moto un processo cognitivo o un comportamento.

Allo stesso modo, si è osservato che durante il sonno tutto il nostro cervello mostra una minima attività. Quindi sì, utilizziamo il 100% del cervello, ma in un determinato momento si attivano solo le aree cerebrali necessarie.

2. Si impara meglio quando si rispetta il proprio stile di apprendimento

Un’altra convinzione molto diffusa nell’ambiente educativo è che gli alunni acquisiscono meglio le informazioni quando queste vengono impartite loro a seconda del proprio stile di apprendimento. Sono stati individuati tre stili distinti: auditivo, cinestesico o visivo. Sulla base di questa ipotesi, andrebbe insegnato a ogni studente uno stile diverso, e in alcune scuole si è arrivati persino a etichettare ciascun bambino con l’iniziale del proprio stile.

Eppure, questa convinzione non si basa su nessuna prova scientifica, né è stato dimostrato che l’apprendimento è migliore quando acquisito mediante uno dei canali descritti. Piuttosto, è evidente una profonda carenza della ricerca a tal proposito.

Tuttavia, ogni cervello è frutto di un insieme di esperienze e di biologia unici. È dunque inevitabile che ogni persona trovi più semplice imparare in un determinato modo. Ciò che sappiamo per certo è che quando il cervello riceve tanti stimoli non integrati a livello sensoriale si produce confusione e ha bisogno di più risorse per includere le informazioni. Al contrario, quando le informazioni sono molte e rivestono diversi canali sensoriali, il ricordo e l’apprendimento sono più forti.

3. Gli emisferi sono indipendenti e determinano la personalità

Questo mito, ampiamente diffuso, individua in ogni emisfero cerebrale il responsabile di determinati meccanismi e sostiene che entrambi lavorano in modo indipendente. A ciò si aggiunge l’idea che uno dei due è dominante, il che determina le caratteristiche e persino la personalità di un individuo.

Sulla base di questa idea, l’emisfero destro è quello del pensiero più globale, artistico, sensoriale e della spensieratezza. Dal canto suo, l’emisfero sinistro sarebbe quello analitico, responsabile, preciso, strutturato e logico.

Grazie alla scienza, oggi possiamo affermare che non è così . Entrambi gli emisferi ricevono informazioni di qualunque tipo e le elaborano allo stesso modo. Determinate funzioni, però, vengono esercitate specificatamente da aree che si trovano in un emisfero o in un altro. Tuttavia, le informazioni nel complesso vengono elaborate mediante interconnessioni, a meno che non esista un disturbo organico.

Inoltre, sebbene essere mancini o destrimani implichi la dominanza di un emisfero sull’altro, questo non ha niente a che vedere con il tipo di elaborazione dell informazioni o con la personalità della persona. In qualunque caso, le attitudini e le abilità di ciascuno vengono determinate soprattutto dall’esperienza e da altri fattori ereditari.

I due emisferi

E non è tutto… Altri neuromiti

Esistono altri neuromiti, come quello secondo cui possiamo acquisire molte abilità fino ai 3 anni di età, o quello secondo cui l’intelligenza si eredita e non può migliorare, o che lo zucchero ha un’influenza negativa sull’attenzione… In sostanza, è molto importante sottolineare le convinzioni errate che determinano aspetti così importanti come l’educazione.

Grazie ad alcuni studi, sappiamo che il 95% dei professori crede ai neuromiti e questo influirà sulle loro aspettative verso gli alunni e sul modo in cui lavoreranno con loro (effetto pigmalione). Di conseguenza, bisogna diffondere corrette informazioni scientifiche, così come divulgare in modo corretto i risultati scientifici.


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