Il colore viola: crescere con il dolore nell’anima
Il colore viola è un racconto della scrittrice afroamericana Alice Walker, vincitore del premo Pulitzer e dal quale è stato tratto, nel 1985, uno splendido film diretto dal genio di Steven Spielberg. Un film che racconta una storia di identità etnica, ruoli di genere, violenza domestica, solidarietà femminile e dolore.
La pellicola è un’opera maestra che può essere analizzata in ogni suo aspetto, dalla messa in scena alla splendida sceneggiatura, dall’incredibile fotografia al grande cast. Ma è stato soprattutto grazie ai risvolti psicologici narrati che è entrata nella storia. Lo sviluppo precoce di traumi profondi, così come la solidarietà e il linguaggio attraverso la scrittura sono le chiavi di lettura di questa storia di speranza e sviluppo personale.
Alice Walker nel suo racconto è stata in grado di plasmare con grande maestria una realtà cruda, troppo recente e vicina a noi, che ha colpito milioni di persone. Al giorno d’oggi, per quanto assurdo, il colore della pelle e il ruolo della donna nella società sono ancora argomento di discussione. Per questo in questo articolo abbiamo voluto ricordare Il colore viola, incredibile pellicola da rivedere tutte le volte che ci sentiamo fragili.
La trama
Il film è ambientato agli inizi del XX secolo nel sud degli Stati Uniti e ruota attorno alla vita di Celie, magistralmente interpretata da Whoopi Goldberg. Celie è un’adolescente di quattordici anni violentata dal padre e rimasta incinta più volte a causa di queste violenze. Tutti i suoi figli sono stati dati in adozione e la questione viene presentata nel film come assolutamente normale.
Celie si sposa con un vecchio signore della stessa età del padre, finendo per incarnare un ruolo femminile troppe volte perpetrato nella storia: quello della donna oggetto, utile solo a occuparsi delle faccende domestica, dell’educazione dei figli e dell’appagamento sessuale del marito. Celie riesce a convivere con tutto ciò scrivendo delle lettere prima a Dio e poi a sua sorella Netie, dalla quale è stata separata con la forza. È così che assistiamo alla graduale deframmentazione della persona di Celie.
Un film popolato da cinque donne afroamericane che danno vita a una crudele storia di violenze, disillusione, perdita d’identità e lotta per trovare il proprio ruolo nel mondo.
“Io sono povera, sono negra, sono anche brutta… ma buon Dio, sono viva! Sono viva!”.
-Celie, Il colore viola-
Crescere con il dolore nell’anima
Il film ci mostra lo sviluppo di un trauma dissociativo causato da molteplici violenze di natura fisica, sessuale e psicologica. Questo trauma è tipico a seguito di stress traumatico causato da abusi sessuali e, per quanto colpisca a qualsiasi età, è più incidente durante l’infanzia e l’adolescenza.
Un disturbo che presenta tra i suoi sintomi la paralisi emotiva: un isolamento da quelle emozioni negative che generano il ricordo degli eventi traumatici. Quando l’evento traumatico è ricorrente e si ripete con costanza nel tempo, le conseguenze possono essere devastanti.
La dissociazione è un meccanismo di difesa dagli effetti paralizzanti, in grado di bloccare la memoria e trasferire il trauma a livello corporeo manifestandolo attraverso le emozioni o le anomalie fisiche (come la perdita dell’uso del linguaggio).
L’esperienza traumatica causa una frammentazione dell’anima che si verifica quando il trauma lacera completamente il sistema individuale di protezione personale. Si scatena uno “scollegamento” nei confronti dell’ambiente circostante, estremamente dannoso per l’autostima dell’individuo.
Il colore viola: il trauma del gruppo lascia spazio alla speranza
Il colore viola ci mostra una realtà vissuta da milioni di donne in tutto il mondo: abusi sessuali, violenza fisica e psicologica. In molti casi, si tratta di un trauma specifico del gruppo; donne che hanno visto violati i propri diritti e che sono costrette ad adottare strategie mentali di sopravvivenza.
I traumi del gruppo, soprattutto sulle donne, sono profondamente legati alla reificazione, un processo che priva la persona della sua umanità, rendendola un oggetto non pensate.
Le vittime possono scegliere, in maniera cosciente, di separarsi mentalmente da quell’IO sofferente per preservare quella parte dell’IO che ancora può essere salvato. Una strategia di protezione che, a lungo andare, causa seri danni profondi.
D’altro canto, l’abisso interiore che si apre a seguito di un trauma non è facile da chiudere. Un motivo in più per cui si rendono necessari gli interventi preventivi.