Il modo in cui descriviamo gli altri parla di noi

Il modo in cui descriviamo gli altri parla di noi
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

Il modo in cui descriviamo gli altri ci definisce. Come etichettiamo, giudichiamo e stimiamo chi ci sta vicino lascia intravedere la nostra personalità; sono pennellate sottili, ma evidenti, della nostra identità e perfino della nostra autostima.

È qualcosa di cui abbiamo ogni giorno esperienza; noi stessi stiamo male quando ci vengono attribuite caratteristiche che non ci appartengono.

Ammettiamolo, tutti esprimiamo continuamente giudizi sulle persone che conosciamo o incontriamo. Il nostro cervello ha bisogno di farlo nel tentativo di tenere sotto controllo l’ambiente e, in qualche modo, di sapere cosa aspettarci dagli altri. È un processo psicologico del tutto normale, un meccanismo a cui presiede l’amigdala, un modo per  garantire la nostra sopravvivenza.

“Nel discorrere, la discrezione vale più dell’eloquenza”.

-Francis Bacon-

Un interessante studio condotto presso l’Università di Psicologia di New York, e pubblicato sul Journal of Neuroscience, ci spiega che questa piccola struttura cerebrale impiega pochi millisecondi a valutare se qualcuno è degno di fiducia o meno, se può interessarci o, al contrario, è una persona da evitare. In effetti, potremmo dire quasi senza errore che per il nostro cervello la prima impressione è tutto, anche se evidentemente intervengono piccole e interessanti sfumature.

Così, dopo che l’amigdala ha compiuto una rapidissima valutazione di chi ci sta di fronte, entra in scena il filtro della personalità. Sarà questa struttura mentale a decidere se avvicinarci o meno alla persona e confermare la validità della prima impressione. Sarà lei a farci formulare giudizi negativi (o meno), lei, in sostanza, ad articolare, mediare e determinare il modo in cui ci relazioniamo e ci comportiamo con gli altri.

Vignetta con uomo che parla gridando ai suoi sottoposti

Il modo in cui descriviamo gli altri ci tradisce

Dice un proverbio cinese che è possibile schiacciare un uomo solo con il peso della lingua. È una grande verità e nessuno può mettere in dubbio quanto la lingua possa fare male e scempi. Lo vediamo tutti i giorni al lavoro, in famiglia, con i nostri conoscenti.

Comunicare con gli altri è parte fondamentale del nostro processo di socializzazione. Nel corso delle nostre interazioni è abitudine comune mostrarci gentili, corretti e premurosi. Tuttavia, esiste anche un cattivo e frequente uso della critica, del disprezzo, dell’offesa gratuita, del piacere di etichettare gli altri.

Il mondo è pieno di persone che trovano piacere nell’attribuire dei difetti agli altri, in modo quasi continuo. Un esercizio da praticare ogni giorno, un vero e proprio modo di vivere.

“Sei quello che dici”. Questa affermazione non è nostra, ma del professor Skowronski della Wake Forest University, nella Carolina del Nord.  Un’indagine dettagliata sulle personalità e i giudizi che formuliamo ha messo in luce quello che tutti in qualche modo possiamo intuire. Il modo in cui descriviamo gli altri ci definisce. Siamo ciò che diciamo, che deduciamo e che proiettiamo in coloro che ci circondano.

Uomo di spalle in un gioco di specchi

Chi applica l’etichetta del disprezzo e vive con gli occhiali scuri

C’è chi non vuole vedere, chi guarda la realtà attraverso lenti scure e con occhi miopi si aggira in un mondo sfuocato di cui è meglio non fidarsi.

Sono personalità che si lasciano guidare dagli stereotipi e non vogliono vedere oltre, disprezzano, mercificano, deridono, criticano chi non è, non pensa, non sente come loro.

Se il modo in cui descriviamo gli altri lascia intravedere la nostra personalità, chi etichetta sempre in modo negativo e critica mostra un vuoto interiore abitato dalla mancanza di autostima; una dimensione in cui l’abitudine a dequalificare lascia trasparire la frustrazione e l’infelicità.

Chi pratica l’aggregazione e vive con gli occhiali rosa

Nella ricerca condotta dalla Wake Forest University è emerso un elemento sorprendente. Le persone che esprimevano il minor numero di giudizi erano quelle che mostravano maggiore capacità di aggregazione. Insomma, chi ha il dono della positività, dell’ottimismo e gode di una buona autostima non si lascia condizionare da una prima valutazione e preferisce farla seguire da un contatto, una vicinanza.

Solo quando mettiamo da parte le etichette, il giudizio severo, le deduzioni che poggiano su basi poco solide, aumentano le possibilità di legarci agli altri, di creare amicizie più solide, ambienti più rispettosi e con meno pregiudizi.

Il modo in cui descriviamo gli altri condiziona la nostra capacità di entrare in sintonia

Quando descriviamo gli altri senza il peso del sospetto, del pregiudizio e dell’ironia, senza accorgercene ci diamo l’opportunità di entrare in sintonia con chi ci sta accanto, liberi dal muro dei preconcetti e dall’ossessione di voler incasellare tutto.

Occhiali con occhi poggiati a terra a rappresentare il modo in cui descriviamo gli altri

Evitiamo di tirar fuori sempre i nostri occhiali con le lenti scure. A volte ci serviranno per proteggerci da alcuni riflessi dannosi, ma in linea di massima è sempre meglio togliere i filtri e ampliare la visione. Uno sguardo sveglio, curioso e umile catturerà sempre più immagini di un paio di occhi abituati a vivere al buio.


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