Intelligenza emotiva: mettersi nei panni dell'altro

Intelligenza emotiva: mettersi nei panni dell'altro

Ultimo aggiornamento: 16 aprile, 2015

Tradizionalmente l’intelligenza emotiva è stata associata a capacità cognitive come la memoria o la risoluzione di problemi nella vita quotidiana. Nonostante ciò, questa è stata collegata con più facilità ad aspetti come l’empatia, la motivazione e lo stato d’animo, perciò sono stati condotti numerosi studi in ambito psicologico per arrivare a conoscere meglio questa intelligenza.

Gli studi realizzati puntano verso una direzione: l’intelligenza emotiva non solo costituisce l’essere umano, bensì lo condiziona in modo significativo ed è associata al suo livello di benessere. I primi a fare ricerche dirette su questo tipo di intelligenza e sulle ripercussioni che ha sono stati John D. Mayer e Peter Salovey.

Troviamo un precedente indiretto nella figura di Thorndike, che nel 1920 ha usato il termine intelligenza sociale per descrivere l’abilità di comprendere e motivare altre persone. Allo stesso modo, nel 1940 David Wechsler ha descritto l’influenza di fattori non intellettuali sul comportamento intelligente e ha inoltre sostenuto che i nostri modelli di intelligenza non saranno completi fino a che non potranno descrivere adeguatamente queste nuove capacità. I suoi studi hanno indicato che molte volte l’impegno intellettuale di una persona non è il fattore che è associato in modo più intimo al suo successo o al suo fallimento.

Negli anni ’80 Mayer e Salovey hanno continuato le loro ricerche rendendosi conto che i modelli tradizionali non erano sufficienti poiché non prendevano in considerazione le molteplici destrezze e abilità dell’intelligenza umana. È stato allora che hanno coniato per la prima volta il termine “intelligenza emotiva”.

Qualche anno più tardi, nel 1995, Daniel Goleman ha reso famoso tale concetto attraverso le sue rubriche nei quotidiani. Dopo averlo diffuso attraverso la stampa, ha pubblicato il famosissimo libro “Intelligenza emotiva” in cui riassume le ricerche e gli approcci esistenti, ampliando la definizione con nuovi tratti e qualità che hanno dato vita a nuovi modelli.

Nonostante questo, che cosa è realmente l’intelligenza emotiva? A che cosa serve? Si tratta di una delle nostre capacità più potenti?

Una delle sue definizioni è: l’abilità di comprendere emozioni e di bilanciarle in tal modo da poterle utilizzare per guidare la nostra condotta e i nostri processi di pensiero, con l’obiettivo di ottenere migliori risultati.

Nonostante ciò, crediamo che l’intelligenza emotiva sia qualcosa di più, una capacità molto più profonda che ci permette di connetterci agli altri in modo speciale. Crediamo che questo tipo di intelligenza prevalga sulle altre visto che senza di questa le altre non opererebbero con la stessa leggerezza.

Si dice che sentire è un’arte in più. Nonostante ciò, chiunque può sentire. Chiunque può bruciarsi e provare dolore, chiunque può essere sensibile a qualsiasi tipo di cambiamento di temperatura. Ma mettersi nei panni dell’altro? Quella è tutta un’altra storia.

Proprio grazie all’intelligenza emotiva siamo in grado di identificare le nostre emozioni e quelle degli altri; grazie ad essa siamo in grado di metterci nei panni dell’altro e di condividere la sua allegria o la sua tristezza, grazie a questa capacità umana così innata siamo capaci di sintonizzarci con la parte più intima di un altro essere umano.

Se nel mondo si impiegasse di più questa intelligenza, probabilmente le cose sarebbero differenti.


Questo testo è fornito solo a scopo informativo e non sostituisce la consultazione con un professionista. In caso di dubbi, consulta il tuo specialista.