Istruzione penitenziaria e il suo grande valore sociale
Esiste un dibattito aperto circa l’opportunità e l’efficacia dell’istruzione penitenziaria. Serve davvero o è solamente un’utopia? Ci sono risultati concreti, riscontrabili, a favore di questo tipo di intervento?
Anche se ognuno è libero di pensarla come crede, l’istruzione penitenziaria sociale, un ramo specifico dell’educazione sociale, può essere la chiave per rispondere a questi e ad altri quesiti fondamentali, facendo finalmente luce sull’argomento.
“Da sempre si è discusso sulla possibilità di un’istruzione nei contesti di confinamento. Considerare la prassi educativa o socio-educativa liberatoria in un ambiente chiuso, punitivo e violento è un’utopia? Un paradosso? Una mera contraddizione?”.
José del Pozo e Fanny T. Añaños
L’insegnante e specialista in istruzione per adulti, Francisco Scarfó, afferma che l’istruzione è la base dell’identità civica: “Chi non riceve o non fa uso di questo diritto perde la possibilità di appartenere alla società, di partecipare in modo reale e diventare un cittadino, avvalendosi dei suoi diritti e rispettando quei doveri che contribuiranno, congiuntamente, al sano sviluppo della società”.
È così che è nata la Risoluzione sull’istruzione nei penitenziari, adottata al V Congresso mondiale dell’istruzione svoltosi a Berlino, Germania, nel luglio del 2007. Questa risoluzione spiega la necessità di includere argomenti relativi all’educazione sociale nei penitenziari.
Nel caso dell’istruzione sociale penitenziaria, istruire i detenuti non è solo una sfida. È anche un diritto e un principio deontologico che deve cercare lo sviluppo dell’autonomia di ogni persona reclusa, nonostante le barriere punitive. (2)
Teorie nell’istruzione penitenziaria sociale
A livello generale, e con l’obiettivo di comprendere le basi di questo ramo dell’educazione sociale, vi presentiamo qui di seguito diverse teorie su cui si basa.
1. Teorie psicopatologiche
Nell’istruzione penitenziaria, questo gruppo di teorie interpretano l’atto criminale da fattori psicopatologici e biologici di ogni individuo. Sono stati molto rilevanti nella storia della criminalità e nel trattamento carcerario. Autori come Eysenck sono ottimi esempi di questi modelli. (1)
Inoltre, è importante menzionare che dal ramo della psicologia sociale, altri autori contribuiscono con approcci che non prendono in considerazione solo fattori di personalità meramente individualistici. (3, 4)
2. Teorie sociologiche
Queste teorie considerano fattori multidimensionali e strutturali. Si basano sull’idea che i sistemi e le relazioni sociali, educative, culturali o familiari hanno componenti che influenzano l’eziologia criminale. (1)
Ci riferiamo alla teoria della disuguaglianza delle opportunità o alla teoria della devianza sociale (5, 6) all’interno della quale si cerca di ricorrere anche alle motivazioni che direttamente spingono una persona a commettere atti criminali o “devianti”.
3. Teorie socio-educative
Il professor Miguel Melendro spiega che nel corso dell’ultimo secolo sono state sviluppate prospettive e modelli che hanno significativamente arricchito e migliorato i metodi di intervento socio-educativo rivolte alle popolazioni socialmente svantaggiate.
Sono diverse le discipline che hanno avuto un ruolo nella formazione di modelli socio-educativi nell’educazione sociale dentro le carceri. Come, ad esempio:
- Approcci comportamentali.
- Approcci dinamici.
- Il costruttivismo
- Terapia familiare sistemica.
- Il modello delle competenze.
- La pedagogia popolare.
Programmi socio-educativi in contesti carcerari
Secondo Garrido e Gomez (1995), l’intervento penitenziario si è tradizionalmente basato su modelli scientifico-tecnologici (incorniciato in approcci medici alla tradizione comportamentale, in cui si chiede l’allineamento del soggetto ed è presente nella pedagogia positivista).
La ricerca del comportamento, dal classico trattamento in carcere, ha favorito la riproduzione di schemi sociali da un’educazione che non ha tenuto conto delle variabili contestuali, tanto meno di quelle socioculturali. (1)
I programmi più comunemente usati nelle carceri sono stati di matrice correttiva. Questi si sono concentrati su modelli comportamentali di rinforzo o punizione. (8) Per chi li applicava, questi modelli sembravano essere capaci di produrre i migliori risultati. Generalmente venivano raggruppati in quattro insiemi:
- Modello psicologico e psicoanalitico.
- Modello biologico-comportamentale.
- Modelli fattoriali.
- Modelli umanistici.
Qui di seguito vi mostriamo alcuni tra i più attuali, a cui negli ultimi anni si è dato un carattere più umanistico:
1. Modello partecipativo
Secondo il modello partecipativo, il trattamento penitenziario deve contenere nell’azione socio-educativa la partecipazione dell’intera comunità penitenziaria, principalmente dei detenuti.
L’idea è di portare avanti l’intero processo e la volontarietà dei detenuti a percorrere degli adeguati iter formativi. (1, 9)
2. Modello per l’autonomia per l’istruzione penitenziaria
Si tratta di programmi educativi personalizzati e di gruppo. (10)
3. Modello per l’emancipazione e / o di genere
Potrebbe essere proposto in virtù di un doppio approccio. In primo luogo, partendo dal superamento della criminalizzazione socio-culturale e strutturale che ricade sulle donne criminali. (11, 12)
In seconda battuta, adottando misure per un trattamento finalmente paritario di uomini e donne all’interno dell’ambiente carcerario. (13, 14)
4. Modelli di conoscenza di persone e azioni pedagogiche per l’istruzione penitenziaria
In essi, il consenso collettivo del lavoro è importante. Grande importanza viene anche data al successo per i risultati ottenuti, come frutto di una stretta relazione educativa tra il prigioniero e l’educatore sociale (1).
5. Modelli per la liberazione
Nei modelli per la liberazione, l’obiettivo dell’istruzione penitenziaria sarà finalizzata al reinserimento. Si tratta di un passaggio estremamente delicato e significativo. Dunque dovrà prevedere la dimensione professionale e strutturale del recluso.
Andrà pertanto presa in considerazione la sfida di convertire spazi e concetti penitenziari in possibilità di libertà, come in un vero e proprio processo di riadattamento.
L’istruzione penitenziaria sociale utilizza molti modelli alternativi come quelli discussi sopra. Tuttavia, quelli basati su fattori individuali sembrano prevalere in quanto a risultati concreti. A questo punto, la domanda è solo una: sarà davvero possibile sviluppare questi modelli in futuro su larga scala?
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