La dignità è il linguaggio dell'autostima

La dignità è il linguaggio dell'autostima
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

La dignità non è frutto dell’orgoglio, è un bene prezioso che non possiamo permetterci di cedere agli altri o di perdere con leggerezza. La dignità è autostima, rispetto di sé e salute. È anche la forza che ci solleva da terra quando ci siamo spezzati le ali, nella speranza di raggiungere un punto lontano dove nulla fa male, dove possiamo permetterci ancora una volta di guardare il mondo a testa alta.

Potremmo dire tranquillamente che al giorno d’oggi poche parole hanno tanta importanza quanto quella che dà il titolo a questo articolo. Fu Ernesto Sabato a dire qualche anno fa che, a quanto pare, la dignità della persona umana non era prevista in questo mondo globalizzato. Lo possiamo vedere tutti ogni giorno, la nostra società è sempre più articolata in una struttura in cui stiamo lentamente perdendo sempre più diritti, più opportunità e anche libertà.

“Al di là del dolore e della gioia, c’è la dignità di essere”

-Marguerite Yourcenar-

Tuttavia, e questo è interessante tenerlo ben presente, sono molti i filosofi, sociologi, psicologi e scrittori che cercano di offrirci strategie per dar forma a quella che chiamano “l’era della dignità”. Credono, infatti, che sia giunto il momento di definirsi, di far sentire la nostra voce e di lavorare sui nostri punti di forza per trovare maggiore soddisfazione nel nostro ambiente circostante e generare un cambiamento significativo in questa società sempre più disuguale.

Personalità come Robert W. Fuller, fisico, diplomatico ed educatore, hanno messo in gioco un termine che senza dubbio inizieremo a sentire più spesso. Si tratta del “rankismo”. Questo termine include tutti quei comportamenti che giorno dopo giorno si stanno portando via la nostra dignità: essere intimiditi da terzi (partner, boss, colleghi di lavoro), subire molestie, sessismo e persino diventare vittima della gerarchia sociale.

Tutti quanti, in qualche momento della nostra vita, abbiamo sentito di aver perso la nostra dignità. Che sia stato per un rapporto abusivo oppure perché svolgevamo un lavoro mal retribuito, si tratta comunque di situazioni con un alto costo personale. Esigere un cambiamento, metterci dalla nostra parte e lottare per i nostri diritti, non sarà mai un atto di orgoglio, bensì un’espressione del nostro osare a essere coraggiosi.

Donna con corvi nei capelli che si copre il volto pensando alla sua dignità

La dignità nell’opera di Kazuo Ishiguro

Lo scrittore britannico di origine giapponese Kazuo Ishiguro ha vinto il premio Nobel per la letteratura 2017. Il grande pubblico conosce in particolare uno dei suoi romanzi, “Quel che resta del giorno“, un’opera da cui è stato anche tratto un film davvero eccezionale. La cosa più strana è che non tutti capiscono quale sia l’argomento centrale di questo libro tanto meticoloso, a volte esasperante, ma sempre magnifico.

Potremmo pensare che “Quel che resta del giorno” parli di una storia d’amore. Di un amore vigliacco e di barriere per le quali gli amanti non arrivano mai a toccarsi la pelle e le pupille si perdono altrove, in qualsiasi altro luogo che non sia la persona amata. Forse possiamo dedurre che il libro sia la storia di una casa e dei suoi abitanti, padroni e servi, e di come un nobile, Lord Darlington, cerchi l’amicizia dei nazisti di fronte alla passività del suo maggiordomo, testimone del tradimento del padrone alla patria.

Potremmo dire questo e molto altro, perché è la magia dei libri. Tuttavia “Quel che resta del giorno” parla di dignità. La dignità del personaggio che è il narratore e che, a sua volta, è il protagonista della storia, il signor Stevens, maggiordomo di Darlington Hall.

Scena del film "Quel che resta del giorno"

L’intero romanzo è un puro meccanismo di difesa, un continuo tentativo di giustificazione. Abbiamo davanti una persona che si sente degna e onorata per il lavoro che svolge, ma tale lavoro altro non è che il riflesso della servitù più cruda e assoluta, là dove non c’è spazio per la riflessione, per il dubbio, per il riconoscimento delle proprie emozioni e ancor meno per l’amore.

Tuttavia, c’è un momento in cui l’immagine del “grande maggiordomo” si sgretola. Durante la cena uno degli ospiti di Lord Darlington inizia a fare una serie di domande a Mr. Stevens per dimostrare la completa ignoranza delle classi inferiori. Un attacco diretto al suo “io”, nel quale il maggiordomo si fa da parte per far posto all’uomo ferito, che non ha mai avuto dignità e che viveva nascosto sotto una corazza. L’uomo che si negò il vero amore per servire gli altri.

Recuperare e rafforzare la propria dignità

È certamente curioso vedere come l’osservatore esterno, il lettore che viaggia da una pagina all’altra in libri come “Quel che resta del giorno”, si accorga subito di come una determinata persona venga manipolata o di come stia tessendo un laborioso auto-inganno per giustificare ogni atto inspiegabile ai propri occhi. Anche noi possiamo ritrovarci a svolgere lavori molto simili a quelli del maggiordomo di Darlington Hall.

“La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli”.

-Aristotele-

Possiamo trovarci a dare tutto per amore, per quel rapporto nocivo, tossico e persino debilitante. A volte amiamo con gli occhi chiusi e il cuore aperto, senza accorgerci che questo legame sta distruggendo filo per filo tutto il tessuto della nostra autostima. Magari svolgiamo da tanto questo lavoro mal pagato, nel quale non veniamo apprezzati, lasciandoci sfuggire la vita e la dignità… Ma che cosa vuoi farci, i tempi sono quelli che sono ed è sempre meglio un male noto che un conto corrente vuoto.

Gufo che rappresenta la saggezza della dignità

Dobbiamo svegliarci, lo abbiamo detto all’inizio, questa dovrebbe essere l’era della dignità, nella quale tutti dobbiamo ricordare il nostro valore, la nostra forza, il nostro diritto ad avere una vita migliore, a essere degni di ciò che vogliamo e di cui abbiamo bisogno. Dirlo ad alta voce, porsi dei limiti, chiudere le porte per aprirne delle altre e definire noi stessi di fronte agli altri, non è un atto di orgoglio o di egoismo.

Evitiamo di perdere la nostra individualità, smettiamo di giustificare ciò che è ingiustificabile ed evitiamo di essere parte di questo ingranaggio che spegne giorno dopo giorno le nostre virtù e le nostre meravigliose personalità. Smettere di essere sudditi dell’infelicità per creare con le nostre mani e la nostra volontà.


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