La mindfulness allevia il dolore

È stato dimostrato che la mindfulness riduce il dolore. Uno studio recente ha fatto luce sui fondamenti neurologici di questo fenomeno.
La mindfulness allevia il dolore

Ultimo aggiornamento: 23 luglio, 2020

Secondo una ricerca pubblicata di recente sulla rivista PAIN, la mindfulness, o meditazione in piena coscienza, può rivelarsi una strategia efficace per alleviare i dolori cronici. Diverse ricerche avevano già dimostrato che praticare la mindfulness allevia il dolore.

Da uno studio pubblicato sulla rivista JAMA, è emerso che la mindfulness allevia il dolore cronico, in particolare il dolore lombare, persino in maniera più efficace rispetto alle terapie ordinarie.

Un altro studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology ha rilevato che praticare la mindfulness può aiutare anche gli atleti infortunati a tollerare meglio il dolore e ad aumentare la loro consapevolezza.

Da un ulteriore studio, è emerso che possono trarre beneficio dalle tecniche di mindfulness anche gli individui affetti da patologie infiammatorie croniche, come l’artrite reumatoide o la malattia infiammatoria intestinale, nelle quali lo stress psicologico gioca un ruolo importante.

Tuttavia, c’è da chiedersi quali sono i meccanismi cerebrali responsabili di questo effetto analgesico. Proprio a questa domanda cerca di dare una risposta la nuova ricerca condotta da Fadel Zeidan, professore assistente di neurobiologia e anatomia presso il Centro Medico Battista di Wake Forest a Winston-Salem nella Carolina del Nord.

La mindfulness allevia il dolore

Zeidan spiega che la mindfulness consente di essere consapevoli del momento che si sta vivendo senza esagerate reazioni emotive o giudizi. Alcune persone sono più consapevoli di altre, e le seconde sembrano provare meno dolore.

I ricercatori hanno voluto dunque scoprire se l’innata predisposizione individuale alla piena consapevolezza avesse una correlazione con una minore sensibilità al dolore e in caso di risposta positiva, quali fossero i meccanismi cerebrali responsabili di questo fenomeno.

Donna stesa

Per trovare una risposta, hanno analizzato un campione di 76 persone che non avevano mai praticato la meditazione. I loro livelli di attenzione sono stati analizzati utilizzando il Freiburg Mindfulness Inventory. Questo test valuta la mancata identificazione con i pensieri e i sentimenti, l’accettazione, l’apertura, l’assenza di reattività , la comprensione dei processi mentali e l’osservazione del presente.

In seguito, gli studiosi hanno sottoposto i partecipanti a una stimolazione da calore dolorosa e a una non dolorosa, durante la quale studiavano l’attività cerebrale tramite risonanza magnetica funzionale. I ricercatori sono partiti dall’ipotesi secondo cui la mindfulness- o la predisposizione di una persona alla consapevolezza- sarebbe legata a una minore sensibilità al dolore e a una minore attivazione di un circuito cerebrale chiamato Default Mode Network (DMN).

Il Default Mode Network comprende varie aree del cervello interconnesse tra loro che si attivano durante il riposo. Vale a dire, quando una persona non presta attenzione al mondo esteriore, il quale stimola la attenzione, bensì si concentra sulla propria interiorità. Alcune aree cerebrali che fanno parte di questa “rete” sono la corteccia cingolata posteriore, la corteccia prefrontale mediale e la circonvoluzione angolare.

Il Default Mode network e la meditazione

È risaputo che la meditazione richiede un esercizio di attenzione all’esperienza immediata e l’allontanamento dalle distrazioni, come il pensiero autoreferenziale e il “mind wandering”.

Proprio in nome di quanto appena affermato, la meditazione è stata associata a un’attività relativamente ridotta in una rete di aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione autoreferenziale, conosciuta come DMN (Default Mode Network). Le persone che meditano presentano un livello di attività minore rispetto a chi non lo fa.

Allo stesso tempo, il mind wandering è stato associato ad alti livelli di attività del DMN, mentre la riduzione dell’attività del DMN durante la meditazione è stata associata a un’attenzione maggiore e più duratura nella vita quotidiana.

Anche studi precedenti dimostrano che la meditazione ha un ruolo importante nella riduzione dei processi del DMN.

Meditazione

Perché la mindfulness allevia il dolore?

Un recente studio ha dimostrato che una maggiore consapevolezza di ciò che accade intorno a noi può essere legata a una maggiore attività della corteccia cingolata posteriore. Al contrario, le persone che hanno riferito di aver provato più dolore presentavano anche un maggiore livello di attività in quest’area cerebrale. Zeidan dà una spiegazione a ciò affermando che il “default mode” si disattiva quando svolgiamo una qualsiasi attività come leggere o scrivere.

Aggiunge anche che il Default Mode Network si riattiva ogni volta che l’individuo smette di svolgere un’attività e si dedica nuovamente ai suoi pensieri, sentimenti ed emozioni, legati alla propria interiorità.

“I risultati del nostro studio hanno dimostrato che gli individui consapevoli sembrano essere meno segnati dall’esperienza del dolore e le segnalazioni di dolore da parte loro sono state scarse”, dice Zeidan. E aggiunge: “Ora disponiamo di nuovi strumenti per agire su questa area del cervello al fine di sviluppare efficaci terapie contro il dolore”.

Gli studiosi sperano che le loro scoperte contribuiscano a donare sollievo alle persone che soffrono di dolori cronici. “Alla luce della nostra precedente ricerca, siamo consapevoli di poter aumentare l’attenzione attraverso periodi relativamente brevi di allenamento alla mindfulness, pertanto essa può rivelarsi uno strumento efficace per milioni di individui che soffrono di dolori cronici“, concludono.


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