La semplicità è una virtù intellettuale

Le persone semplici non mostrano umiltà solo con le loro azioni. La semplicità è una virtù che nasce dal pensiero, da quella flessibilità di chi non è convinto di sapere tutto; di chi sa che occorre lasciare spazio all'ascolto, alla comprensione e mettere da parte l'egoismo.
La semplicità è una virtù intellettuale
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

Anche la semplicità è una virtù intellettuale, dopotutto le nostre azioni sono collegate al pensiero. Capita di incontrare persone orgogliose, nella mente e nel cuore, per le quali “umiltà” è una parola incomprensibile che non merita di essere utilizzata. Perché questa forma di egocentrismo è così diffuso?

Non è una domanda casuale o una vuota lamentela. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un emergere di voci che affermano la loro opinione come unica verità possibile. È sempre più difficile ricevere delle scuse, ammettere di essersi sbagliati o di non aver fatto tutto quello che si poteva. L’ego intellettuale domina i social media e, a volte, anche le nostre discussioni a tavola.

Poco più di un anno fa, gli psicologi dell’Istituto Max Planck hanno lanciato un’interessante proposta all’intera comunità scientifica. Considerato l’alto numero di ricerche che negli anni si sono dimostrate  errate o poco valide, sarebbe stato utile diffondere scuse pubbliche in cui si ammetteva che l’approccio adottato era sbagliato.

Secondo la Dott.ssa Julia M. Rohrer, promotrice di questa iniziativa, la mancanza di umiltà intellettuale è un fatto culturale. È radicato nei nostri schemi e comportamenti, e qualcuno deve iniziare a dare l’esempio.

Se il mondo scientifico cede e ammette che molte conclusioni a cui si è giunti non sono valide, provate o replicabili, forse ciò rappresenterà un primo passo da cui prendere l’esempio. Saremo in grado di farlo?

Donna con gli occhiali guarda il monitor del pc.

La semplicità è una virtù intellettuale

Vi siete mai sentiti frustrati davanti a qualcuno che si rifiutava di cambiare opinione e il cui approccio era evidentemente errato? Sicuramente molte volte. Bene, adesso pensate all’ultima volta in cui siete stati voi a pensare di esservi sbagliati, ma non siete riusciti ad ammetterlo. È passato molto tempo? O è un vostro gesto abituale?

Diciamolo, ci pesa accettare che, a volte, sbagliamo; che la nostra ignoranza su un argomento è talvolta innegabile. Come abbiamo appena detto, tuttavia, la cultura stessa ci spinge a fingere un’invulnerabilità, un’infallibilità intellettuale che non lascia spazio a ripensamenti o ammissioni.

A volte la società disapprova addirittura il gesto di cambiare idea. Quasi come se i valori, gli atteggiamenti, le convinzioni di oggi debbano essere per forza mantenuti saldi per dimostrare di essere coerenti. In realtà, siamo per natura portati a cambiare idea: è il risultato della nostra esperienza e maturazione.

Cambiare significa aggiornarci. Non succede niente se abbandoniamo oggi ciò che ieri difendevamo con le unghie e con i denti.

Ammettere la propria ignoranza, un valore importante

“Io so di non sapere” diceva Socrate. Mentre Michel de Montaigne nel XVI secolo affermava che “La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria“. Pochi filosofi hanno ignorato quella dimensione che in psicologia viene chiamata umiltà intellettuale.

Anche la semplicità è una virtù intellettuale perché grazie a essa sappiamo di non essere infallibili, che è bene tenere conto delle opinioni altrui e che bisogna essere consapevoli dei propri punti ciechi. Ma cosa sono i punti ciechi in psicologia?

Sono angoli morti non percepiti dal cervello. In altre parole, si tratta di pregiudizi di cui non siamo coscienti; è la nostra rigidità mentale, la chiusura cognitiva che usiamo per innalzare muri, per allontanare contraddizioni, incertezze e opinioni diverse.

Mark Leary, psicologo sociale e della personalità alla Duke University, sottolinea: la nostra ignoranza è invisibile, non la percepiamo. Non la vediamo e se la vediamo faremo fatica ad ammetterlo: accettare l’idea di esserci sbagliati causa sofferenza.

Al contrario, la persona semplice, la mente che fa uso dell’umiltà intellettuale, non avrà alcun problema ad ammettere l’errore. Ciò facilita la crescita, l’apprendimento e persino l’arricchimento cognitivo.

Coppia felice seduta per terra per la semplicità è una virtù intellettuale.

Anche la semplicità è una virtù intellettuale

Alcune virtù passano inosservate, ma hanno il potere di rendere questo mondo un posto migliore. Coloro i quali mostrano un eccesso di autostima, arroganza, infallibilità e inflessibilità sono al centro dell’attenzione. Sono quelli del “so tutto io e non sbaglio mai”.

Eppure, sbagliano anche loro, una, due, dieci volte. Perché chi non ammette l’errore, lo ripete. Invece, la persona con umiltà cognitiva ed emotiva è capace di monitorarsi e prova a fare la cosa giusta, non quella più facile. Ciò significa anche accettare l’errore e aprirsi ad altri punti di vista.

In fin dei conti, la semplicità è anche una virtù intellettuale. Si impone come esercizio di salute sociale ed emotiva con cui detronizzare il nostro ego e lasciare spazio all’umiltà, far cadere i pregiudizi e aprirci alla comprensione e alla flessibilità. Pochi lavori sulla psiche sono così necessari al giorno d’oggi. Cerchiamo di allenarla, sforziamoci di renderla reale.


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