Le microaggressioni: piccole torture quotidiane

Le microaggressioni sono parole o azioni dal contenuto aggressivo, ma celato dietro una battuta di cattivo gusto.
Le microaggressioni: piccole torture quotidiane
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 08 marzo, 2023

Molti le chiamano “frecciatine” o “attacchi indiretti”, ma le microaggressioni sono parole o azioni che hanno una componente aggressiva. In un modo o nell’altro, però, coprono o deformano il contenuto violento che trasmettono.

L’esempio più tipico è quello della persona che non risponde al saluto del concierge o della segretaria perché la ritiene una perdita di tempo.

Nella maggior parte dei paesi Occidentali la discriminazione per motivi di sesso, razza, classe sociale o fede è un reato. Tuttavia, molti non assimilano il senso profondo di questo divieto legale, pertanto continuano a discriminare o a rifiutare chiunque sia oggetto dei loro personali pregiudizi.

Affinché queste discriminazioni non provochino un imbarazzo evidente, tali individui si avvalgono delle microaggressioni.

Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene.

-Martin Luther King-

A volte queste microaggressioni vengono prodotte inconsciamente. Si tratta di luoghi comuni, gesti o frasi fatte che manifestano una certa violenza verso un altro individuo o un gruppo.

Ad esempio, quando si interrompe qualcuno mentre sta parlando senza lasciargli esporre la sua opinione. Questo non avviene nei confronti delle figure di potere. Di solito lo si fa con chi viene considerato “inferiore”.

Robot con troll interiore

Microaggressioni o eccessiva sensibilità?

Secondo alcuni, le microaggressioni non sono altro che espressioni inoffensive. Secondo queste persone, il problema è l’ipersensibilità di chi prende troppo sul personale commenti che, a detta loro, sono innocui. In fin dei conti, nei rapporti sociali, soprattutto nella comunicazione goliardica, c’è sempre una componente irriverente.

Questo potrebbe essere vero in alcuni casi. Non tutti i commenti all’apparenza sessisti, classisti o razzisti nascondono dell’odio. Possono essere anche un modo catartico attraverso cui scaricare lo stress o ridicolizzare certi pregiudizi. Chiamare “nero” una persona dalla pelle scura, non sempre è un modo per sminuirlo, ad esempio.

Il problema delle microaggressioni è la sistematicità e l’intenzionalità. Se questi commenti, o queste “battute goliardiche”, o questo sarcasmo sono frequenti, molto probabilmente finiranno per ferire l’altra persona. Un pizzicotto può non fare male, ma cento arrosseranno la pelle. Tutto questo incide sull’autostima e la dignità altrui.

Trattare le persone come “diverse”

A volte le microaggressioni non sono fatte di parole. Anche attraverso il linguaggio non verbale si manifestano segnali di pregiudizio e di discriminazione. I ricercatori dell’Università di Princeton hanno condotto uno studio al riguardo, all’inizio degli anni ’70, guidati dal sociologo Carl Word.

L’esperimento consisteva nel riunire un gruppo di persone bianche e nere, ufficialmente per selezionare il candidato a un posto di lavoro. Venne esaminata con attenzione l’atteggiamento dei selezionatori verso entrambi i gruppi e le differenze sono saltate all’occhio, soprattutto nel campo della comunicazione non verbale.

I selezionatori si rapportavano in modo diverso in base al colore della pelle del candidato, nonostante il compito consistesse nel selezionare i migliori candidati per il lavoro.

Tendevano, quindi, a sedersi più lontano dai candidati di colore rispetto a quelli bianchi ed evitavano più facilmente il contatto visivo con i primi. Erano anche meno affabili e dedicavano meno tempo ai candidati di colore. Questo è un tipico esempio di microaggressione.

Le microaggressioni: qual è il loro impatto emotivo?

L’esperimento dell’Università di Princeton prevedeva una seconda fase. Venne fatto un inventario di segnali non verbali di rifiuto e discriminazione emersi dal comportamento degli intervistatori. I ricercatori formarono nuovamente un gruppo di finti candidati al posto di lavoro.

Le microaggressioni sul lavoro

Questa volta, però, agli intervistatori venne chiesto di mettere in atto il linguaggio verbale del rifiuto, sia con alcuni candidati bianchi che con alcuni neri.

Il risultato fu che le microaggressioni pregiudicarono il rendimento dei candidati, i quali faticavano a parlare, balbettavano, lasciavano frasi a metà e mostravano segnali di paura verso i recrutatori.

L’esperimento evidenziò che quando una persona è oggetto di microaggressioni, tenderà a ridurre il livello di rendimento e sarà più soggetta a perdere opportunità.

Le microaggressioni mettono, infatti, in una posizione svantaggiata e induce ad affisaesi ai pregiudizi altrui.

Non è facile difendersi dalle microaggressioni, dato che a volta passano inosservate o sono troppo indirette per essere contraddette. Più che controbbattere, dovremmo scavare alla radice del problema: i pregiudizi.


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