L'empatia è il filo con il quale tessere la terapia
Abbiamo spesso sentito parlare di empatia, della sua importanza nelle relazioni sociali, dei suoi potenti effetti nella comunicazione con gli altri, dell’indispensabile necessità di renderla parte della nostra vita. Ciò nonostante, poche volte si sente parlare dell’importanza che questa riveste nelle relazioni psicoterapeutiche e come le terapie, senza di essa, vadano alla deriva.
L’empatia del terapeuta verso i suoi pazienti è necessaria così come è fondamentale per il buon funzionamento della terapia, esattamente come l’aria che respiriamo. È un bene del quale non si può fare a meno.
Nella terapia come nella vita le persone si sentono perse
Anche se si sottopone ad una terapia, il paziente si sente spesso perso. Sente che la sua vita ha perso il ritmo. Non trova una luce potente e visibile che guidi i suoi passi. Il suo viaggio inizia a tentoni, tra il buio del cammino e i piccoli fasci di luce che compaiono poco a poco.
Il terapista non può fare altro che accompagnare il paziente in quel cammino. Quel cammino che, tra le circostanze e la sua volontà, hanno scelto per imparare lezioni di vita che consolideranno il paziente come persona. Molto spesso si tende a pensare che il lavoro dello psicologo sia quello di salvare il paziente dal cammino incerto in cui si trova: restituirgli la motivazione affinché si allontani dai momenti che deve vivere per favorire la sua stessa crescita.
La vita a volte è incerta: dobbiamo accettarlo
Camminare per la vita in modo incerto è naturale e umano. Non dovremmo spaventarci per questo. La vita è come un torrente d’acqua che cambia direzione, ma che va sempre avanti. È come se quella corrente a volte si trasformasse in un filo d’acqua… mentre, a volte, diventa un fiume in piena, recuperando le forze dei tempi passati.
Anche il corso di un fiume è incerto. Il suo impulso e la sua fiducia cieca nei confronti della terra che inonda sono il motore che lo spingono a seguire quel destino titubante, mutevole come la nostra vita.
“Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto”
Nella psicoterapia succede qualcosa di simile. Il paziente si sente perso in numerose occasioni. Tuttavia, è molto diverso sentirsi persi o soli anche se accompagnati. Il paziente si sente accompagnato mentre il terapeuta gli restituisce ognuno dei fili che questi gli consegna. Adottare un atteggiamento empatico e rispettare i ritmi del paziente è fondamentale in questo processo.
Una bella metafora sull’empatia
Si può dire che il paziente o la persona che porta il suo dolore allo psicologo, gli dà dei fili. Sì, proprio come i fili di un gomitolo. Li dà a suo ritmo. A volte ci mette un po’, altre volte li getta di colpo.
Il terapista raccoglie questi fili lanciati dal paziente ma, lungi dal metterli da parte, restituisce ognuno essi al paziente. Poco a poco i fili si intrecciano e creano un telaio. Questo telaio personalizzato servirà da sostegno in futuro, quando il paziente ne avrà bisogno. Il telaio che entrambi creano è la metafora della relazione terapeutica.
Terapeuta e paziente navigano sulla stessa barca
La relazione terapeutica non può essere compresa senza empatia. L’empatia è quel sostegno, quel meraviglioso telaio sul quale avanza il processo terapeutico. Ogni gesto, ogni emozione, ogni pensiero, ogni necessità viene ascoltata e restituita in modo più chiaro, più nitido e più adatto alla persona che ci si trova davanti.
Il terapeuta non naviga su una barca diversa, ma sulla stessa del suo paziente. E navigano insieme. Questi lo accompagna nella sua traversata incerta e piena di vita.
Se non si restituisce ognuno dei fili che il paziente consegna, non si può tessere una relazione di fiducia e sicurezza. Mancherà la sintonia e il paziente, lungi dal percepire il suo terapeuta come una persona vicina, lo vedrà come una figura distante e nella quale non può riporre la sua fiducia: inoltre, cosa ancora peggiore, non si sentirà libero di essere se stesso.
Il terapeuta deve ascoltare anche ciò che il paziente non esprime a parole
Per restituire, bisogna ascoltare. Ascoltare ogni movimento del paziente. Le persone comunicano in molteplici e diverse lingue. Parliamo con ogni parte del nostro corpo, senza dover utilizzare la bocca. Dobbiamo ascoltare ognuno di questi linguaggi.
Bisogna dominare questa saggezza che spesso non ci insegnano né i libri né l’università. È un linguaggio molto più indiretto ed intuitivo. Dobbiamo capire che il canale della nostra vita passa anche attraverso questo linguaggio e che dobbiamo rimanere vicini ai nostri pazienti. Solo in questo modo saremo capaci di ascoltarli e comprenderli.
Comprendere con empatia fondamentale per la terapia
È nella comprensione empatica che si configura la relazione terapeutica. Come disse Mariano Yela in un prologo del libro di Carl Rogers e Marian Kinget:
“Lo psicoterapeuta non sanziona, non censura, non giudica il paziente né agisce al posto suo, non gli indica il cammino né gli sbarra la via; vive insieme a lui i suoi problemi e le sue lotte, sforzandosi di comprendere il senso personale che hanno per lo stesso. Il paziente non trova niente che lo allontani da se stesso o che lo inciti a mascherarsi”.
Il processo della terapia, pertanto, è unico e personale. Non ci sono pacchetti standard con risposte o tecniche universali. Ogni persona è unica e bisogna sempre adattarsi alle sue esigenze. Dobbiamo accompagnarla nel percorso che richiede la sua vita. Un percorso che comprende certezze ed incertezze, perché, in fin dei conti…
Cos’altro è, altrimenti, la vita?