A volte è meglio fare un respiro profondo e restare in silenzio

A volte è meglio fare un respiro profondo e restare in silenzio

Ultimo aggiornamento: 18 marzo, 2017

Dicono che il silenzio sia l’arte che alimenta la saggezza, per questo spesso non c’è altro rimedio se non quello di ricorrere al silenzio come risposta, per evitare di portare avanti conversazioni e fatti superflui. Respirare profondamente e starsene zitti a volte è la soluzione migliore da adottare.

È curioso che gli psicologi e gli psicoterapeuti che lavorano per tanto tempo con un paziente considerino il suo silenzio come un significativo progresso nel processo di guarigione. Potrebbe sembrare contraddittorio, dato che la terapia si costruisce con uno scambio potente attraverso la parola. Il dialogo funge da mediatore, agisce come un’energia che confronta, che affonda, che risveglia e ricostruisce.

Il silenzio è un vero amico che non tradisce mai.

Confucio

Tuttavia, il silenzio improvviso, quello della persona che si zittisce all’istante e fa un respiro profondo, a volte è un segnale cruciale. La persona acquisisce piena consapevolezza delle sue emozioni, si rende conto di qualcosa che fino a quel momento non aveva percepito. Riesce a concentrarsi sull’equilibrio tra i pensieri e le emozioni e mette da parte il passato per fare davvero spazio al momento presente.

Il silenzio a volte agisce come un risveglio della coscienza ed è una cosa eccezionale. Non serve solo a gestire meglio le conversazioni o determinate situazioni, è anche un canale con cui entrare in connessione con se stessi per smettere di “fare” per un istante e semplicemente limitarsi ad “essere”.

Si tratta di un tema caratterizzato da sfumature interessanti e da aspetti curiosi che possono rivelarsi di grande aiuto nella vita di tutti i giorni. Vi invitiamo ad approfondire i molteplici aspetti del silenzio e l’arte di rimanere zitti.

Il rumore mentale, il rumore che ci avvolge e ci divora

Viviamo nella cultura del rumore. Non stiamo parlando della pressione dei suoni ambientali, del rumore persistente del traffico, del ronzio continuo delle fabbriche o dell’eco delle grandi città che non dormono mai. Stiamo parlando del rumore mentale, quel caos di emozioni contrapposte. Una cacofonia mentale che non solo ci impedisce di ascoltare chi abbiamo davanti, ma che spesso ci impedisce di ascoltare noi stessi.

Siamo influenzati da un genere di comunicazione in cui trionfa la voce entusiasta, quella che grida e non tace mai. La ascoltiamo nei nostri politici, in molte riunioni di lavoro, dove chi rimane in silenzio viene subito etichettato come una persona indecisa e senza carisma. In questo senso, il saggista e giornalista George Michelsen Foy ha condotto uno studio per dimostrare come nella cultura occidentale si guardi con diffidenza o sospetto la persona che rimane un po’ in silenzio prima di rispondere.

Le conversazioni spesso si basano su frasi o parole che non passano attraverso un adeguato filtro mentale o emotivo. Dimentichiamo che la capacità di gestire il linguaggio fa parte dell’arte dell’intelligenza, dove spesso il silenzio è una necessaria fase di passaggio.

Fermiamoci almeno per un attimo per ritrovarci. È necessario fermarsi per vedere e sentire l’altra persona. Dunque, non c’è niente di male nel prendere un po’ d’aria e restare in silenzio nel bel mezzo di una conversazione. Forse quello che diciamo dopo questa pausa potrebbe essere la soluzione del problema o la chiave per recuperare un rapporto.

Rimanere zitti e rispondere con il silenzio può essere una punizione

George Bernard Shaw diceva che “il silenzio è la più perfetta espressione del disprezzo”. Così, dobbiamo fare molta attenzione a come utilizziamo il silenzio, a come lo applichiamo in base al contesto e a chi lo rivolgiamo. Fino ad ora abbiamo chiarito che il silenzio è uno strumento perfetto per gestire le proprie emozioni, per concentrarsi sul qui ed ora e poter dare una risposta o agire in modo più sicuro.

Chi non sa stare in silenzio non sa parlare.

Ausonio

L’imprenditore, ricercatore e filosofo spagnolo Luis Castellanos ci parla di questo argomento nel suo libro La scienza del linguaggio positivo. Il silenzio è una pausa per noi stessi. Rimanere zitti è necessario, ad esempio, quando torniamo dal lavoro e stiamo per entrare in casa. Una cosa semplice come fare un respiro profondo e restare in silenzio qualche secondo può allontanare la pressione e l’ansia di quel contesto che non dobbiamo proiettare in casa.

Ora, una cosa che vale la pena tenere in considerazione è che il silenzio spesso affina la qualità delle nostre relazioni personali. Sono le parole a educare, sono le parole a guarire e sono sempre le parole ad aiutarci a costruire ponti, a creare radici e a consolidare nuovi legami attraverso un linguaggio positivo, empatico e vicino.

Ecco perché bisogna aver chiaro che il silenzio non è un castigo positivo per nessun bambino, che qualsiasi brutta azione, marachella o sbaglio non si risolve negandogli la parola o costringendolo alla solitudine nella sua stanza. Queste punizioni non fanno altro che alimentare l’ira. In questi casi, la comunicazione è fondamentale, essenziale, per cambiare i comportamenti problematici, per riconoscere gli errori ed aiutare il bambino a migliorare.

Facciamo buon uso del silenzio, quindi. Trasformiamolo nel nostro palazzo della tranquillità dove ritrovare noi stessi, dove armonizzare le emozioni, dove calmare la mente e trovare la risposta migliore, la parola più bella da dire al momento giusto.


Questo testo è fornito solo a scopo informativo e non sostituisce la consultazione con un professionista. In caso di dubbi, consulta il tuo specialista.