Non guardare mentre si parla
Guardare una persona in faccia quando sta parlando o essere guardati mentre lo facciamo viene generalmente considerata una manifestazione di interesse verso la persona e il contenuto del suo discorso. Molti genitori insegnano questa pratica ai figli sin da piccoli, visto che non farlo può essere considerato un gesto maleducato. In questo stesso contesto educativo, è stato anche osservato che alcuni genitori utilizzano il contatto visivo prolungato per esprimere disaccordo nei confronti dell’azione che sta realizzando il figlio.
Altre connotazioni che di solito si associano all’assenza di scambio visivo sono la timidezza, la colpa o la menzogna . Ci sono addirittura dei film che hanno come protagonisti leader politici e mostrano come gli esperti nel linguaggio del corpo consiglino al candidato alle elezioni di pronunciare il suo discorso dirigendo sempre lo sguardo verso la telecamera, come se stesse guardando l’elettore direttamente negli occhi.
Il lasso di tempo in cui due persone mantengono il contatto visivo è anche associato al grado di intimità che esiste tra loro oppure alla confidenzialità dell’argomento che stanno trattando. Quindi manterremo un contatto visivo molto più lungo con persone che conosciamo bene, rispetto a degli sconosciuti. Di fatto, se una persona che non conosciamo ci guarda fisso troppo a lungo, spesso ci sentiamo a disagio.
Uno studio recente, pubblicato sulla rivista Psychological Science da F. Che, nell’Università di Freiburg, propone una riflessione su questo argomento, basandosi su alcuni dati raccolti. Immaginiamo una conversazione in cui una persona cerca di convincere un’altra della verità di una certa opinione su un argomento, e che questa persona fosse già in parte convinta di questa opinione. Il contatto visivo renderà il lavoro di chi argomenta molto più facile. Perché? Perché anche se uno dei due partecipanti è più convinto dell’altro, partono entrambi da una certa affinità che il contatto visivo rafforza.
Ora immaginiamo invece che chi sta ascoltando l’argomentazione abbia un’opinione nettamente contraria a quella di chi parla. Lo sguardo di intesa diventa probabilmente uno sguardo che acquisisce connotazioni di dominio e intimidazione. I due interlocutori sono agli angoli opposti del campo, fuori dallo stesso cerchio, e si contraddicono continuamente. In questo caso, uno sguardo distratto e meno fisso può calmare la tensione e persino rendere più amichevole la conversazione. Inoltre, può essere un segno di umiltà, che dimostra che non abbiamo intenzione di mantenerci fissi sulla nostra posizione ad ogni costo o che utilizzeremo stratagemmi poco nobili per vincere il dibattito.
Insomma, lo studio pubblicato su Psychological Science sostiene che, in un contesto di persuasione, la connessione tra gli sguardi ci aiuta quando parliamo con qualcuno che ha idee affini alle nostre, ma ci mette in difficoltà quando il nostro interlocutore la pensa diversamente. Come dice lo stesso Chen: “Il contatto visivo è un meccanismo così primitivo che è in grado di generare una grande quantità di cambiamenti fisiologici incoscienti, che possono ripercuotersi fortemente sul nostro atteggiamento“.
Immagine per gentile concessione di Marcos de Madaraiaga