Psicologia e fotografia: come sono legate?

La psicologia e la fotografia ci offrono uno sguardo sul mondo e dentro noi stessi. È questo il punto in cui si connettono formando una meravigliosa unione, utile a esplorare ed esprimere se stessi.
Psicologia e fotografia: come sono legate?
María Alejandra Castro Arbeláez

Scritto e verificato la psicologa María Alejandra Castro Arbeláez.

Ultimo aggiornamento: 03 gennaio, 2023

Psicologia e fotografia, a prima vista, non hanno niente in comune; sono invece più legate di quanto possiamo immaginare. Oggi cercheremo di comprendere meglio questa associazione entrando nella profondità delle immagini, della percezione e dello sguardo.

Cosa sarebbe il mondo oggi senza il visual, senza le immagini? Parliamo di una tecnologia che è ormai quotidiana. In realtà è sempre esistita. Forse non con lo stesso formato, ma da secoli l’uomo cattura le immagini.

“La parte più importante di una fotocamera è dietro di essa.”

Ansel Adams

Macchina fotografica e album con foto antiche.

Psicologia e fotografia: due modalità espressive

Cominciamo presentando le due discipline per poi attraversare il ponte che le unisce. La psicologia è rivolta allo studio del comportamento, le abilità cognitive e l’affettività.

La fotografia, invece, secondo il dizionario Garzanti, è “la tecnica e l’arte di riprodurre immagini non in movimento, in bianco e nero o a colori, su un materiale che cambia colore a contatto con la luce o su un supporto digitale”.

Definite le due discipline, esploriamo la loro relazione. Entrambe sono tecniche esercitate e perfezionate dall’uomo. Lo psicologo entra in contatto con l’essere umano per indagare processi diversi o per intervenire su di essi, il fotografo per catturarne l’immagine.

Naturalmente il fotografo non sempre cattura l’immagine di esseri umani, ma non smette di restare a contatto con la sua parte interiore; lo stesso succede allo psicologo, anche se ad altri livelli. In psicologia e in fotografia si verifica una trasmissione:

  • Si generano, si trasportano e si ispirano emozioni. Lo psicologo lo fa, in genere, attraverso la parola e il fotografo attraverso l’immagine.
  • Sono presenti rappresentazioni mentali. Possono essere simboli o immagini che sorgono dal lavoro delle due professioni.
  • È presente il mondo cognitivo in entrambe le professioni, anche se il pensiero nasce da processi distinti.
  • Esistono diversi livelli di comunicazione. Ricordiamo che ogni mestiere comprende un linguaggio non verbale: si comunica con il corpo. Il fotografo non parla solo attraverso le immagini, ma anche attraverso il corpo e durante tutto il processo di cattura delle immagini.

La fotografia in terapia

Sia la psicoterapia che la fotografia rivelano aspetti inconsci, contenuti che ci risultano inaccettabili o angoscianti e a cui è difficile accedere.

L’inconscio si manifesta attraverso la parola e la creatività. In psicologia spesso uno dei risultati dell’intervento è una maggiore comprensione del vissuto da parte del paziente. In fotografia si accede allo stesso mondo protetto, ma attraverso la rappresentazione.

Psicologia e fotografia: costruzione di un’identità

Attraverso l’intervento psicoterapeutico o fotografico, si possono costruire o ricostruire aspetti identitari:

  • Concetto di sé: riguarda il modo in cui definiamo noi stessi. In psicoterapia si lavora su questa dimensione, in modo che l’immagine di sé aiuti a crescere e non a generare sofferenza.
  • Autostima: è ugualmente legata al concetto di sé; è la parte emotiva della visione di noi stessi ed ha molto a che fare con il modo in cui ci proiettiamo nel tempo passato, presente e futuro.
  • Autoefficacia: processo strettamente associato alla fiducia in sé, determina gran parte degli atteggiamenti di fronte alle sfide.

Tanto la psicologia quanto la fotografia partecipano alla costruzione dell’identità, orientando i nostri sentimenti verso la sua percezione. Sebbene attraverso processi diversi, in entrambi i contesti il professionista modella se stesso in una costante comunicazione con l’esterno e con sé. 

Lo psicologo Alfredo Pizzinato propone l’impiego di produzioni narrative digitale come materiale di analisi nella ricerca psicologica sull’identità.

Donna con portaritratti in mano.

Fotografia come strumento terapeutico

In fotografia si manifestano aspetti inconsci che, forse, non saremmo in grado di esprimere altrimenti a causa dell’angoscia che possono causare. Diventa, quindi, potenzialmente uno strumento fondamentale nel processo psicoterapeutico. La fotografia, in altre parole, ci offre una possibilità di esplorare il nostro inconscio. 

Le fotografie nella psicoterapia possono aiutare a stabilire relazioni profonde, consentendo una narrazione attraverso una diversa prospettiva. Allora perché non comunicare attraverso le immagini? Non a caso, attualmente, buona parte del traffico sui social si fonda su elementi visivi.

Si eliminano o si pubblicano immagini per fidelizzare i follower o aumentare le vendite di un prodotto. La pubblicità utilizza le immagini da moltissimo tempo per scatenare o intensificare i nostri desideri.

Fotografare significa anche raccontare storie coinvolgendo la nostra psiche in sensazioni, emozioni e pensieri sperimentati prima e dopo.

Seguire un percorso psicoterapeutico vuol dire anche rappresentare il vissuto attraverso le immagini e risignificare quelle esperienze dolorose che ci opprimono.


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  • Pizzinato, A. (2008). Psicología: el proceso de la narración digital en la investigación sobre la identidad en la infancia en riesgo de exclusión. Hallazgos, 5 (10), pp. 55-63.

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