Riflessioni di Harari sulla pandemia: "il mondo di prima non tornerà"

Secondo il parere dello storico Yuval Harari, nello scenario attuale è importante puntare sulle responsabilità individuali e sulla cooperazione. Queste ultime sono raggiungibili mediante una vasta e trasparente informazione, unita alla volontà di cooperare e di aiutarci gli uni con gli altri.
Riflessioni di Harari sulla pandemia: "il mondo di prima non tornerà"
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 03 febbraio, 2023

Yuval Harari è uno storico di fama mondiale che dopo aver pubblicato il suo libro Sapiens. Da animali a dei, non solo è diventato una celebrità, ma anche il consigliere di leader internazionali, come Bill Gates e Angela Merkel. È uno dei pensatori più letti al mondo, e per questo motivo vale la pena di prestare attenzione alle riflessioni di Harari sulla pandemia da Coronavirus.

Questo autore ha pubblicato su diversi quotidiani di tutto il mondo varie colonne sull’argomento, ed è anche stato intervistato da un certo numero di mezzi di comunicazione. Al riguardo afferma che, per quanto possa sembrarci strano, le pandemie sono realtà perfettamente normali se guardate dal punto di vista storico.

Epidemie e pandemie hanno ucciso tante persone nel corso dei secoli. In effetti, non siamo mai stati così preparati ad affrontare un fenomeno del genere, come lo siamo oggi.

Per dimostrare questa affermazione, Yuval Harari evidenzia che sono state sufficienti due settimane per isolare il virus, per sequenziarne il genoma e per creare un test diagnostico. Risultati che sarebbero stati impensabili in un altro periodo storico.

Bisogna scegliere tra supervisione totalitaria e responsabilizzazione del cittadino; e tra isolamento nazionalista e solidarietà mondiale.

-Yuval Harari-

Donna con mascherina e cellulare

Le riflessioni di Harari sulla pandemia: la prima grande sfida

Yuval Harari afferma che non torneremo mai al mondo che conoscevamo e questo perché una crisi dalle dimensioni raggiunte dall’attuale pandemia lascia segni permanenti. La nuova realtà nella quale ci ritroveremo dipenderà in buona parte dalle decisioni individuali e collettive che stiamo prendendo adesso. Quello che accadrà non sarà dettato dal destino, bensì sarà frutto della volontà umana.

La prima grande sfida, secondo lo storico, è quella di evitare il propagarsi di una struttura sociale e politica in cui la supervisione “ipodermica” sia al centro di tutto. Corriamo il rischio di passare da una situazione di controllo epidemiologica a una di ipercontrollo, che potrebbe minare la libertà umana.

Harari ritiene che molte “misure temporanee” che la cittadinanza accetta di buon grado per contenere la pandemia rischino, in futuro, di trasformarsi in misure permanenti, con altre finalità. In particolare, fa riferimento alle tecnologie del controllo biometrico, che permettono, ad esempio, di geolocalizzare una persona, ma anche di raccogliere dati sulla sua temperatura corporea e sulla sua pressione arteriosa.

Tali tecnologie oggi potrebbero aiutare a contenere la diffusione del virus, ma domani darebbero accesso a informazioni molto personali, che fungerebbero da input per un controllo minuzioso, in grado di monitorare persino quante volte ridiamo, cosa ci fa arrabbiare. Il tutto allo scopo di offrire a terze parti interessate dei dati che ci rendano più vulnerabili alla manipolazione.

La seconda sfida: solidarietà o competizione

La seconda grande sfida del momento, secondo le riflessioni di Harari sulla pandemia, è la scelta tra un grande fronte di cooperazione mondiale e una corsa selvaggia all’accaparramento delle risorse.

Sebbene l’essere umano oggi sia in grado di raggiungere lo spazio con relativa facilità, si è dimostrato meno efficiente nel produrre mascherine, respiratori e strumenti di tutela personale. Per questo motivo c’è chi, come il presidente degli Stati Uniti, risponde a queste lacune con un atteggiamento sciovinista. Altri, invece, fanno appello alla cooperazione.

Secondo Harari, è strano che allo stato attuale non sia stato creato un forum o un organismo internazionale per gestire la crisi in modo coordinato e, soprattutto, fondato sulla cooperazione. È possibile ed è auspicabile che avvenga. La pandemia è una realtà che verrà superata a livello mondiale o non verrà superata affatto. Ci coinvolge tutti.

Sia gli strumenti di protezione personale che gli strumenti medici e lo stesso personale sanitario dovrebbero essere patrimonio comune. Bisognerebbe condividerli laddove necessario, nella consapevolezza che chi oggi dà, domani potrebbe aver bisogno di ciò che qualcun altro produce.

Cooperazione contro la pandemia

Le vie d’uscita

Harari ha insistito principalmente sui due punti esposti, sebbene non siano gli unici due affrontati. A questo proposito, afferma che ci sono delle vie di uscita percorribili a prima vista. La prima consiste nel responsabilizzare il cittadino, per evitare il pericolo di stati di polizia. Come? Informandolo e riponendo fiducia nella responsabilità individuale.

Un esempio è dato dal lavaggio delle mani. Se la gente arriva a capirne l’importanza, a seguito di una corretta informazione, non ci sarà bisogno della supervisione di nessuno per portare a termine questo accorgimento. Lo stesso vale per tutto il resto.

Una persona è in grado di prendersi cura da sola della propria salute e di fare attenzione ai sintomi di una malattia. Tuttavia, questo diventa possibile sono se si dispone delle adeguate informazioni e se si ha fiducia nell’autorità che chiede di adottare determinate misure.

Per quanto riguarda la cooperazione, la via di uscita consiste nel creare meccanismi congiunti che diano una risposta globale alla situazione, dato che il problema è globale. Se si sfruttasse il momento attuale per promuovere la cooperazione e la solidarietà, da questa crisi potrebbe venir fuori un mondo più impegnato e responsabile. Qualora invece si optasse per la concorrenza e l’egoismo, il futuro potrebbe essere teso e imprevedibile.


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  • Harari, Y. N. (2020). El mundo después del coronavirus. Envío: publicación mensual del Instituto Histórico Centroamericano, 39(457), 6.


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