8 marzo: perché le donne manifestano?

Ogni 8 marzo viene celebrata la Festa della donna. Una giornata accompagnata da eventi e manifestazioni: ma qual è il loro obiettivo?
8 marzo: perché le donne manifestano?
Lorena Vara González

Scritto e verificato la psicologa Lorena Vara González.

Ultimo aggiornamento: 04 gennaio, 2023

Vi siete chiesti come mai, ogni 8 marzo, molte donne in tutto il mondo partecipano a eventi e manifestazioni? Molte persone si pongono questa domanda. Alcuni affermano che nel XXI secolo e in paesi “moderni” come l’Italia, la discriminazione contro le donne non esiste o sia del tutto anacronistica. Sostengono anche che le pretese femministe sono generalmente fuori luogo, dal momento che godono “praticamente” degli stessi diritti degli uomini. Come sappiamo bene, però, la realtà è assai diversa.

Ma c’è anche chi, per fortuna, difende queste manifestazioni, riconoscendo l’importanza dell’8 marzo e che c’è ancora molto da fare in termini di vera uguaglianza tra uomini e donne. Questi ultimi parlano del divario salariale, dei delitti di genere, del soffitto di cristallo, della paura che le donne provano quando camminano da sole per strada, della loro “invisibilità” in ambiti professionali come la scienza e via discorrendo. L’elenco, come vedete, è molto lungo.

Tutte le opinioni sono valide, ma rimangono tali, dato che spesso vengono enunciate senza osservare i dati. In questo articolo cercheremo di guardare alla realtà proprio a partire dalle statistiche e, in questo modo, a capire se è davvero giusto e legittimo che le donne continuino a scendere in piazza ogni 8 marzo.

“Femminismo: movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale in quella pubblica.” (Dizionario Treccani)

Gruppo di donne sorridenti

8 marzo e lotta contro il divario salariale

Il divario salariale, ovvero la diversa retribuzione percepita da un uomo e una donna per lo stesso lavoro si basa su due motivi:

  • Anche se appartengono alla stessa categoria professionale e, pertanto, dovrebbero ricevere lo stesso stipendio, gli uomini vengono premiati, oltre al salario di base, con diversi bonus. Anche nelle aziende più moderne, spesso le donne percepiscono salari inferiori addirittura del 20-30%. Un ennesimo esempio di discriminazione femminile.
  • Le donne spesso lavorano per un numero inferiore di ore per potersi dedicare alla famiglia. Questa cura può essere rivolta a genitori, figli o a qualsiasi altro familiare dipendente, il che significa che i loro stipendi e le possibilità di avanzamento di carriera sono inferiori rispetto agli uomini.

“Le donne in Europa continuano a ricevere un salario medio inferiore del 16,3% rispetto agli uomini. Il divario salariale tra uomini e donne non è stato ridotto negli ultimi anni ed è in gran parte dovuto al fatto che le donne tendono ad avere un basso livello di occupazione e in settori a basso reddito, optano meno per le promozioni, interrompono più volte la loro carriera e svolgono più lavori non remunerati.”

-Report della Commissione europea del 20 novembre 2017-

Donne nella scienza

Quando parliamo di donne nella scienza, ci riferiamo a coloro che sono riuscite a diventare riferimenti educativi e storici per le nuove generazioni. Per valutare la loro presenza, basterà prendere in mano libri di storia, scienza, chimica, fisica, matematica o letteratura alla ricerca di qualsiasi riferimento femminile.

Il risultato di questa analisi è allarmante: le donne non esistono se non all’ombra di figure storiche maschili. Cioè, non sono altro che un’appendice, un “accessorio” dell’uomo e delle sue conquiste. Esistono diversi libri che puntano il dito su come, finora, chi ha raccontato la storia l’abbia fatto sempre e solo a discapito della popolazione femminile.

Facciamo un esempio. Pensate al nome di qualche personaggio storico di rilievo. Nomi come Leonardo da Vinci, Cristoforo Colombo, Thomas Edison o Nelson Mandela vengono facilmente alla mente. E per quanto riguarda le donne? Nomi come Beulah Louise Henry o Rosa Parks difficilmente risulteranno familiari. Eppure, la loro importanza è simile o persino superiore ai rispettivi contemporanei maschi. Al pari di Amelia Earhart, Grace O’Malley o Valentina Tereskova.

La penalizzazione della maternità nel lavoro e il soffitto di cristallo

Vale la pena di citare un recente studio, molto interessante, anche se ci porta oltre i confini della nostra Italia. Stiamo parlando della ricerca sovvenzionata dall’Osservatorio Sociale della Caixa (una delle banche private più importanti della Spagna) e realizzata in collaborazione con l’Università Pompeu Fabra, con lo scopo di valutare l’equo accesso di uomini e donne al mercato del lavoro.

Secondo questa inchiesta, solamente il 30% delle donne che si presentano a un colloquio di lavoro ottengono condizioni similari a quelle destinate agli uomini, a parità di requisiti. In altre parole, pur presentando lo stesso curriculum, agli uomini vengono offerte condizioni migliori. Che ne pensate?

Questo divario si accentua se le donne che cercano lavoro sono anche madri. Tenete presente che, sempre secondo questo studio, una donna con figli ha il 35,9% in meno di probabilità di ricevere un colloquio rispetto a un uomo che è anche padre. È il prezzo da pagare per prendersi cura della famiglia, mentre l’uomo semplicemente “aiuta” o “collabora” nelle faccende domestiche.

Un’altra ricerca, questa volta realizzata in Svezia (Does the gender composition in Couples matter for the division of labor after childbirth?), ha mostrato che il divario salariale nelle coppie lesbiche che hanno avuto un figlio scompare a 5 anni, ma ciò non avviene per le coppie eterosessuali.

Lo studio chiarisce che questo divario scompare nelle coppie omosessuali per via della necessaria “distribuzione equa” dei costi di istruzione e mantenimento dei bambini tra i due membri della coppia.

L'8 marzo è la festa internazionale della donna

8 marzo e violenza maschilista

Scendere in piazza per l’8 marzo è anche un modo per ribadire la contrarietà a qualsiasi forma di violenza sessista. La violenza di genere riceve questo nome perché le vittime sono sempre donne, colpevoli per il solo fatto di essere tali.

L’ISTAT dedica un’intera pagina ai femminicidi (triste ma necessario neologismo per indicare gli omicidi di donne), completa di statistiche allarmanti e dati che dovrebbero far riflettere tutti, senza perdersi in superflui ragionamenti.

“Le donne vittime di omicidio volontario nell’anno 2017, in Italia, sono state 123.” (ISTAT)

Nell’articolo “Violence against women: a structural perspective” della sociologa Concepción Fernández Villanueva dell’Università Complutense di Madrid, la violenza contro le donne viene definita come strategia per mantenere il potere patriarcale e un modo per impedire alle donne di abbandonare quel luogo di disuguaglianza a cui sono state storicamente limitate.

La violenza maschile viene più facilmente giustificata. Una legittimità che è espressa spesso addirittura nei codici legali e penali, risultato della cristallizzazione dei valori della società maschilista in cui ancora viviamo.

Dopo aver letto tutto questo, siete ancora sicuri che le donne non debbano manifestare ogni 8 marzo? Qual è la vostra opinione al riguardo?


Questo testo è fornito solo a scopo informativo e non sostituisce la consultazione con un professionista. In caso di dubbi, consulta il tuo specialista.