Come influisce l'atteggiamento mentale sulla capacità di risolvere i problemi?

Come influisce l'atteggiamento mentale sulla capacità di risolvere i problemi?

Ultimo aggiornamento: 30 giugno, 2016

A volte anche risolvere un problema semplicissimo si trasforma in una vera e propria odissea. Vi è mai capitato? Ci succede spesso quando abbiamo una “giornata no”, perché molte volte la difficoltà nel risolvere i problemi può essere dovuta al nostro atteggiamento mentale, vale a dire al modo in cui ci poniamo di fronte a quella difficoltà.

Applicare strategie che in passato hanno funzionato a problemi simili è senz’altro una scelta intelligente. Tuttavia, intestardirsi nell’impiegare solo quella strategia quando abbiamo già visto che in quel caso specifico non funziona è negativo, che ci impedirà di avanzare. Utilizzare quella strategia come prima opzione è tanto intelligente quanto lo è saper rinunciare ad essa per cercarne delle altre, quando necessario.

Come influisce il nostro atteggiamento mentale sulla capacità di risolvere i problemi?

Avere il giusto atteggiamento mentale ci risparmierà molto tempo quando ci troviamo di fronte ad un problema. Il primo passo di un atteggiamento costruttivo è dato dall’affrontare quella situazione in modo attivo, senza evitarla, rifuggirla o cercare di ignorarla. Ci sono situazioni problematiche in cui l’opzione migliore è aspettare, perché l’evolvere della situazione non dipende da noi e sarebbe inutile forzarlo. Tuttavia, aspettare non è sempre tra le opzioni più consigliate.

Il secondo passo che caratterizza un atteggiamento positivo è la decisione di essere proattivi di fronte al problema e assumerci la responsabilità di trovare una soluzione, per farlo sparire oppure, se è necessario avere pazienza, per collocarlo nella nostra mente in modo che la sua influenza negativa su di noi sia limitata.

Il terzo passo consiste nella costruzione di un piano d’azione. Un percorso che, una volta tracciato, disegni nella nostra mente la maggior quantità possibile di risorse utili per affrontare quel tratto specifico o la fase del nostro piano d’azione in cui ci troviamo. Ci aiuterà, inoltre, a liberarci dallo stress di dover gestire tutto insieme, come se pretendessimo di mangiare una mela infilandocela intera in bocca.

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L’utilità di un buon atteggiamento

L’atteggiamento o la disposizione mentale che ci porta a ripetere le stesse strategie che abbiamo impiegato in passato può essere molto utile. Attraverso la ripetizione di piani d’azione che abbiamo già testato, siamo capaci di arrivare alla giusta soluzione in modo più veloce. Questo ci può far risparmiare tempo, ma anche causare qualche problema.

Nelle nostre attività quotidiane, l’atteggiamento mentale può impedire che la soluzione di un problema relativamente semplice si trasformi in una cosa estremamente complessa. Ma può anche accadere il contrario: può succedere che prendere una decisione importante diventi molto complicato, perché non siamo in grado di aprirci a nuovi punti di vista.

Facendo un altro passo avanti, un atteggiamento mentale troppo legato alle strategie vincenti del passato potrebbe impedirci di scoprire un percorso nuovo e ancora migliore per colpa della nostra mancanza di flessibilità nell’affrontare il problema. Potremmo anche cadere nel tranello e compiere una scelta sbagliata, perché non siamo stati in grado di valutare altre alternative o di cambiare il nostro punto di vista.

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La fissità funzionale

La “fissità funzionale” è un atteggiamento mentale che ci rende in grado di vedere soltanto le soluzioni che implicano l’impiego di oggetti nel modo più normale o consueto. Si tratta di un tratto cognitivo che potrebbe mettere in pericolo la nostra capacità di ideare soluzioni nuove per risolvere un problema.

Questa mentalità troppo rigida spesso ci impedisce di pensare a soluzioni alternative ai problemi, utilizzando gli oggetti in modo diverso rispetto a quello solito. Questo di per sé non è negativo, ma potrebbe risultare limitante, poiché chiude la porta a molte possibilità che potrebbero renderci le cose più facili o persino aiutarci a risolvere problemi che non sono davvero tanto complicati quanto sembrano.

Un esempio di fissità funzionale è il famoso problema della candela, ideato dallo psicologo Karl Duncker quasi 70 anni fa. L’esperimento consiste nel dare a duna persona diversi oggetti e una consegna. Gli oggetti sono una scatola di puntine, alcuni fiammiferi e una candela. La consegna è “attaccare la candela al muro in modo tale che, una volta accesa, la cera sciolta non goccioli”. Poi si cronometra il tempo che la persona impiega per trovare la soluzione al problema.

Dunker ha scoperto che il risultato cambiava quando si davano alla persona esattamente gli stessi oggetti, ma in modo diverso. In alcuni casi, lo psicologo consegnava la scatola di puntine con le puntine all’interno, mentre altre volte consegnava le puntine prima e la scatola vuota dopo. In generale, le persone ci mettevano di meno a risolvere il problema in questo secondo caso, quando veniva data loro la scatola delle puntine vuota.

Il motivo è che, nel primo caso, la persona è portata a pensare che la funzione della scatola sia quella di contenere le puntine e non la vede come parte della soluzione, perché mentalmente le ha già assegnato una funzione. Nel secondo caso, quando vede la scatola senza niente dentro, la interpreta come un elemento che svolge un compito diverso nella risoluzione del problema.

E ora che vi abbiamo dato questi indizi, come risolvereste il problema della candela di Duncker?


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