Conoscere i propri Io senza fondersi con essi
Sono molte le teorie di psicologia sociale che hanno cercato di definire l’Io e gli Io, e perché è importante conoscere i propri Io. Da Williams James alla fine del XIX secolo (che distingueva tra il Me, in quanto oggetto dell’esperienza, e l’Io, in quanto osservatore) fino alla psicanalisi più ortodossa.
L’Io è quella parte autoreferenziale del nostro essere. Definisce il senso della nostra identità e dipende da come vediamo noi stessi, in quanto protagonisti delle nostre esperienze di vita.
Sebbene l’essere umano abbia un’essenza unica, non è fatto da un solo Io. All’interno della sua persona coesistono una moltitudine di ruoli e sfaccettature, di Io presenti, passati e futuri. Un buon modo per mantenere alta la nostra autostima è essere coscienti del fatto che tutti questi ruoli esistono, vanno valorizzati, accettati, senza per questo fonderci in essi. La non-fusione con un ruolo implica che la persona sia consapevole che nessuno inizia e completa la definizione di se stesso in un unico modo.
Questo vuol dire che se nella mia vita, a causa di varie esperienze, uno dei ruoli che interpreto viene in qualche modo minato, non ho motivo di sentirmi del tutto un miserabile. Gli altri Io, quelli che non sono stati danneggiati, possono sopperire ampiamente a questo dolore.
Tuttavia, se mi immedesimo troppo in uno degli Io e mi trovo in una situazione che per quel ruolo risulta sconvolgente, il mio intero Sé si sentirà minacciato, e quindi diventerà più complesso per me vivere una normale quotidianità. Vediamo ora alcune delle teorie emerse in psicologia che mostrano un interesse per la definizione dell’io e della sua relazione con l’affetto e l’autostima.
Higgins: la teoria della discrepanza del Sé per conoscere i propri Io
La teoria della discrepanza elaborata da Tory Higgins si concentra sul tema degli Io come linee guida del Sé. Questo autore afferma che l’Io non è un concetto unitario. Di conseguenza, per definirne i diversi componenti allude a due parametri: i domini dell’Io e i punti di vista dell’Io. In quest’ultimo criterio troviamo il punto di vista della persona su se stessa, così come quella che essa crede abbiano le persone importanti.
Dalla teoria della discrepanza del Sé possiamo trovare diversi domini dell’Io in funzione del punto di vista proprio e di quello altrui. Questi saranno: l’Io reale (ciò che sono), l’Io ideale (ciò che mi piacerebbe essere), l’Io che dovrei essere, l’Io potenziale (ciò che potrei diventare) e l’Io futuro, ovvero ciò che spero di essere.
Conoscere i propri Io: l’Io reale
L’Io reale per Higgins sarebbe la base del nostro concetto di noi stessi: ciò che sappiamo su di noi, così come ciò che sanno gli altri. Il resto degli Io costituiranno le linee guida dell’Io reale oppure in che direzione mi muovo o dove voglio arrivare.
L’autostima si manterrebbe alta se non esistesse un’eccessiva discrepanza tra i vari Io. Inoltre, se diamo più ascolto o se ci fondiamo in maggiore misura con un Io piuttosto che con un altro, potremmo ritrovarci a sperimentare determinate emozioni.
Ad esempio, se l’Io “che dovrei essere” è troppo preponderante e mi sento un tutt’uno con esso, quando una determinata situazione lo troncherà, mi sentirò troppo in colpa. Se mi ossessiono con il mio Io ideale e mi costa fatica raggiungere le mete che mi conducono fino a esso, posso finire per sentirmi frustrato.
Le varie strade dell’Io sono positive e ci aiutano a crescere, ma la chiave è non attaccarsi troppo a nessuna di essa, preservato l’autoconcetto attuale: l’Io reale.
Linville e la teoria della complessità degli Io
Linville elaborò un modello che mette in relazione la molteplicità degli Io e la loro complessità con la variabilità effettiva, ed è composto da quattro presupposti:
Il primo sostiene che l’Io è rappresentato a livello cognitivo da molteplici aspetti. Tali aspetti dipendono in parte dal numero di ruoli sociali che una persona assume nella propria vita (ad esempio, moglie, madre, avvocato), ma anche dal tipo di rapporti interpersonali che stabilisce (tra colleghi, di rivalità, di sostegno, materno), dalle attività che svolge (giocare a bridge, nuotare, scrivere) o dai tratti di personalità nevrotici (ambiziosa, creativa).
Ciascuno di questi aspetti dell’Io organizza un insieme di proposizioni e caratteristiche su se stesso (tratti della personalità, caratteristiche fisiche, abilità, preferenze, obiettivi, ricordi autobiografici), in modo che gli aspetti dell’Io differiscano tra loro nella misura in cui inglobano diversi gruppi di caratteristiche.
D’altra parte, Linville definisce la complessità del Sé sulla base di due elementi: il numero di aspetti dell’Io e il grado di differenziazione tra i suddetti aspetti. Le persone con elevata complessità del Sé organizzano la conoscenza di se stesse in termini di maggior numero di aspetti dell’Io e distinguono maggiormente tra di essi.
In tal senso, è normale sentirsi bene in alcuni ruoli che ricopriamo e meno bene in altri. Ad esempio, una persona può sentirsi orgogliosa di se stessa come madre, ma sentirsi in imbarazzo per come ha svolto i suoi doveri da lavoratrice.
Se mantengo una alta complessità del Sé, ovvero molti Io ben distinti l’uno dell’altro, le mie reazioni affettive saranno meno estreme quando qualcuno degli Io si sentirà “messo in punizione”. Ciò che mi colpisce nel ruolo di madre non dovrebbe influire sul mio ruolo di lavoratrice, figlia, sorella o amica.
Conoscere i propri Io e conclusioni
Va bene seguire determinate linee guida dell’Io nel corso della nostra esistenza, come proposto da Higgins; guide che ci permettono di porci degli obbiettivi o mete di vitale importanza. Conoscere i propri Io ci aiuta anche a mantenerci coerenti e a lavorare per la persona che voglio diventare e per quello che penso di meritare. D’altra parte, come affermato da Linville, l’ideale sarebbe disporre di svariati Io senza fonderci con nessuno di essi; questo significa mantenere un’alta complessità del Sé.
Per preservare l’autostima, così come per mantenere stabile il proprio stato d’animo, l’ideale sarebbe essere coscienti di tutti gli Io che vivono in me, lavorare per preservarli, per migliorarli, senza tuttavia lasciarmi definire solo da uno di essi.
In tal modo, gli alti e i bassi della vita ci influenzeranno molto meno. Si tratta di non fare di tutta l’erba un fascio. Qualunque cosa succeda, qualunque cosa potrebbe incidere su uno dei nostri ruoli, ci sarà sempre un Io che resterà intatto e che potrà attenuare le conseguenze sullo stato d’animo e sull’autostima. Citando Linville, “l’elevata complessità del Sé ci protegge dai brutti periodi, ma ci tiene anche con i piedi per terra quando le cose vanno bene”.
Tutte le fonti citate sono state esaminate a fondo dal nostro team per garantirne la qualità, l'affidabilità, l'attualità e la validità. La bibliografia di questo articolo è stata considerata affidabile e di precisione accademica o scientifica.
- Morales, F.(1994). Psicología Social. Madrid: McGraw-Hill.