Cultura personale e contenuti digitali

Lasciamo che i nostri cellulari pensino per noi. Potendo trovare tutte le informazioni che vogliamo su Google, c'è chi non separa più le proprie conoscenze da quelle offerte da internet.
Cultura personale e contenuti digitali
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 29 dicembre, 2021

Abbiamo raggiunto un punto della nostra esistenza in cui molti portano il cervello nelle mani e non nella testa. I telefoni cellulari stanno plasmando un fenomeno sorprendente e inquietante: non distinguiamo più tra cultura personale e quanto scritto sul web.

Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), le persone confondono le proprie conoscenze con i contenuti digitali.

Non riusciamo più a vivere senza motori di ricerca come Google. Effettuiamo decine di ricerche al giorno, il che ci fa provare una sensazione di assoluta solvibilità intellettuale. Troviamo una risposta a tutto e non distinguiamo più tra quello che sappiamo e quanto scritto sul web.

Sebbene possa essere un vantaggio su base quotidiana, ciò presenta alcuni svantaggi per la nostra intelligenza. Facciamo sempre meno sforzo per ragionare, ricordare, dedurre e persino utilizzare l’orientamento spaziale. Abbiamo persino applicazioni per ricordarci dove abbiamo parcheggiato l’auto. La tecnologia pensa per noi e ciò ha un costo.

Quando abbiamo tutte le informazioni che desideriamo alla portata di un semplice clic, presumiamo che siano state generate dal nostro cervello.

Cellulare.

Perché si tende a confondere la cultura personale con i contenuti digitali?

Il lavoro di ricerca che ci informa di questo sorprendente fatto è molto recente. Lo studio si deve all’Università del Texas, nello specifico al Dottor Adrian Ward della McCombs School of Business della stessa università.

Le persone confondono i contenuti digitali con la propria cultura generale. In altre parole, esiste ormai una linea molto sottile tra quello che sappiamo e quello che pensiamo di sapere. L’uso intensivo e costante del cellulare e di Google per la ricerca di informazioni induce a intendere i dati letti quotidianamente come nostri.

Fino a non molto tempo fa, le persone distinguevano nettamente tra informazioni esterne (ciò che si consulta) e informazioni interne (le proprie conoscenze).

È come chi si considera un esperto di botanica, ma in realtà ogni volta che trova una pianta, per quanto comune, si mette davanti il cellulare per identificarla.

Google vuole farci pensare che siamo più intelligenti di quello che siamo

I motori di ricerca come Google vogliono che si stabilisca in noi il pregiudizio della falsa conoscenza. Chi confonde i contenuti digitali con la cultura personale si sente più ottimista e fiducioso.

Tuttavia, si è anche sempre più dipendenti dalle tecnologie e soggetti a esse attraverso un falso senso di concorrenza.

I cellulari pensano per noi, dandoci un falso senso di controllo. Ogni giorno ci sentiamo più intelligenti perché abbiamo tutte le conoscenze esistenti nel palmo delle nostre mani. Tuttavia, la realtà è diversa. La verità è che ogni volta ci sforziamo di conservare meno informazioni e di imparare.

Internet proietta l’effetto Dunning-Kruger sull’essere umano

Quando le persone scambiano i contenuti digitali con le proprie conoscenze sfruttano un pregiudizio cognitivo chiamato Dunning-Kruger.

Questa realtà comune si riferisce a quelle persone incompetenti che sopravvalutano le proprie conoscenze, chiamate anche “ultracrepidari“.

Sono molti, infatti, che si avvalgono di autovalutazioni gonfiate, dando opinioni su tutto e non riuscendo a rendersi conto della propria ignoranza. L’effetto Dunning-Kruger non permette di riconoscere chi è più intelligente di loro e, naturalmente, non notano che la loro dipendenza da Google è assoluta.

Meccanismi cognitivi.

Il problema principale: smettere di usare l’intelligenza fluida

A che serve memorizzare quali sono i fiumi più lunghi del mondo se ce lo dice internet? Perché ricordare come andare da casa a quella del migliore amico in un’altra città se possiamo usare il GPS? È vero. Le nuove tecnologie ci semplificano la vita, ma ciò ha un prezzo.

Non stiamo solo rinunciando all’uso di funzioni esecutive come la memoria o l’orientamento spaziale. Non riusciamo a rafforzare e coltivare l’intelligenza fluida. Stiamo smettendo di usare quel tipo di ragionamento che ci permette di risolvere nuovi problemi e adattarci a più situazioni.

L’allenamento cognitivo attraverso compiti come esercizi di memoria, attenzione, creatività o deduzione sono processi che rafforzano e mantengono agile l’intelligenza fluida. Tuttavia, chi lascia pensare il cellulare per sé, prima o poi si accorgeranno di qualcosa di molto concreto.

Google non dirà come affrontare una crisi, una perdita, una sfida personale molto impegnativa. Alexa o Siri non risolveranno i nostri problemi, perché siamo noi, con le nostre risorse, a dover affrontare le avversità quotidiane. E dobbiamo essere preparati per questo.


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  • Justin Kruger and David Dunning. “Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments.” Journal of Personality and Social Psychology (Fist published: December 1999) DOI: 10.1037//0022-3514.77.6.1121
  • Ward AF. People mistake the internet’s knowledge for their own. Proc Natl Acad Sci U S A. 2021 Oct 26;118(43):e2105061118. doi: 10.1073/pnas.2105061118. PMID: 34686595.

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