Dismorfofobia: cause e trattamento

La terapia cognitivo-comportamentale di Rosen si presenta come il trattamento a oggi più efficace per curare il disturbo della dismorfofobia.
Dismorfofobia: cause e trattamento
Alicia Escaño Hidalgo

Scritto e verificato lo psicologa Alicia Escaño Hidalgo.

Ultimo aggiornamento: 30 dicembre, 2022

La dismorfofobia è un disturbo psicologico caratterizzato dalla convinzione di presentare un difetto fisico intollerabile. È un’idea che affligge pesantemente la persona, provocando un’ansia costante e influenzando la sua vita.

Anche se nelle versioni anteriori del DSM la dismorfofobia era catalogata tra i disturbi somatomorfi, attualmente il DSM V lo ha incluso nel capitolo dei disturbi ossessivo-compulsivi e simili. Questo cambio è dovuto al carattere compulsivo identificato nel disturbo dismorfofobico, oltre all’ossessione in merito al proprio aspetto fisico.

La persona è assolutamente convinta di avere un difetto e, per calmare l’ansia che questo causa in lei, ripete una serie di azioni rituali come ad esempio: guardarsi di continuo allo specchio, cercare di nascondere in tutti i modi il presunto difetto, sottomettersi a svariati interventi estetici o chirurgici.

Il disturbo tende ad apparire durante l’adolescenza, quando l’aspetto fisico assume maggiore importanza tra coetanei, influendo sulla concezione che si ha di sé e sulla propria autostima. Colpisce in egual misura uomini e donne, anche se alcuni studi parlano di un’influenza leggermente maggiore in queste ultime.

È normale vedere questi pazienti sottoporsi a visita dermatologica, poiché i difetti più comuni riguardano pelle (acne, rosacea, rughe…), capelli (alopecia), ma anche la forma del naso. Attualmente, la terapia cognitivo-comportamentale di Rosen si è rivelata la più efficace per combattere questo disturbo. Combina strategie volte a cambiare le convinzioni disfunzionali sul proprio aspetto fisico, e altre destinate a modificare le compulsioni.

Ragazzo con dismorfofobia si guarda allo specchio.

Cause della dismorfofobia

Come tutti i disturbi psicologici, la dismorfofobia ha un’eziologia piuttosto varia. Il contesto familiare può avere un ruolo importante, soprattutto se l’educazione è stata troppo incentrata sul valore dell’aspetto fisico, diventando una delle principali cause di questa patologia. Anche chi è stato vittima di abusi durante l’infanzia, come il bullismo a scuola, è predisposto a presentare questo tipo di disturbo.

Avere un difetto reale, seppur lieve, può portare a ingigantire l’imperfezione. La vita del paziente inizia a ruotare attorno al suo difetto, facendo scaturire la dismorfofobia.

Come è evidente, godere di una bassa autostima basata su caratteristiche esterne, modificabili ed effimere – come l’aspetto fisico – facilita la caduta nella trappola del disturbo dismorfofobico. In ogni caso, lo scopo principale del trattamento cognitivo comportamentale per la dismorfofobia è risalire alla causa del disturbo e interrompere il circolo vizioso.

Terapia cognitivo comportamentale per la dismorfofobia di Rosen

Prima di dare inizio alla terapia, sarà fondamentale un esame completo dei sintomi del disturbo dismorfofobico nel paziente. Il BDDE (Body Dismorphic Disorder Examination) è un valido questionario che aiuta a tracciare i progressi del trattamento.

Una volta realizzata la valutazione, il paziente avrà come obiettivo principale quello di cambiare la visione del proprio corpo, non la sua apparenza.

L’immagine corporea è un costrutto psicologico soggettivo, dunque indipendente dall’apparenza reale. Ci spieghiamo meglio: correggere un difetto o intervenire sulla propria bellezza non sempre implica il cambio della propria immagine. È possibile sentirsi e vedersi meglio senza modificare la propria apparenza, così come le altre persone possono percepire il nostro aspetto in modo molto diverso da come lo percepiamo noi.

Non è necessario convincere il paziente che il suo difetto sia immaginario. Anzi, meglio evitare di affrontare direttamente quest’aspetto e concentrarsi piuttosto sull’interferenza alla base della sua preoccupazione. È possibile suggerirgli di scrivere un breve racconto sullo sviluppo delle preoccupazioni legate al suo aspetto, dall’infanzia fino all’adolescenza. Può essere utile anche tenere traccia dei progressi per facilitare la ricostruzione cognitiva delle idee disfunzionali sull’apparenza.

È importante eliminare il linguaggio negativo sul corpo dei pazienti (“ho il visto grande, sformato, inguardabile…”) per costruire insieme valutazioni più obiettive, neutrali o sensate e lontane da ogni autocritica.

Il paziente va incitato a parlare in modo neutrale del suo aspetto, facendo pratica di fronte allo specchio.

Ragazza triste si copre il volto.

Tecniche impiegate

In quanto alle tecniche comportamentali, la persona affetta da dismorfofobia deve esporsi al proprio corpo, senza supervisione e nell’intimità della propria casa. Può categorizzare le diverse parti del corpo su una scala dalla meno alla più problematica, mostrandole gradualmente fino a eliminare il senso di disagio.

Pian piano dovrà metterle maggiormente in mostra, finché non sarà in grado di guardare senza timore il suo riflesso nelle vetrine o mostrare in spiaggia parti del corpo che prima tendeva a nascondere.

In ultimo, la terapia cognitivo comportamentale per la dismorfofobia sfrutta la tecnica dell’esposizione con prevenzione della risposta. Si può lavorare sul rafforzamento della propria idea di sé (ad esempio uscendo di casa senza trucco), sull’eliminazione delle parole tranquillizzanti da parte degli altri, sull’accettare i complimenti (anziché respingerli). Infine, lavorare su un’idea: è impossibile che l’immagine che proiettiamo piaccia a tutti o corrisponda perfettamente a quella che vorremmo proiettare.


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  • Vallejo, P, M.A. (2016). Manual de Terapia de Conducta. Editorial Dykinson-Psicología. Tomo I.

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