Disoccupazione cronica: conseguenze emotive
Dalla fine degli studi e fino alla pensione, ci dedichiamo al lavoro. Lavorare per vivere e, in parte, vivere per lavorare. La maggior parte delle aziende non vede con lo stesso interesse una persona sopra i 50 anni, e anche i 45, e un giovane. Se diamo un’occhiata alle offerte di lavoro su qualunque portale, vedremo che il profilo richiesto, in modo chiaro ed esplicito, è giovane. I senior si vedono, di conseguenza, intrappolati in una situazione di disoccupazione cronica.
Come vedremo, le aziende hanno vari motivi per rifiutare i profili senior. Non intendiamo esprimere un giudizio al riguardo, ma proveremo ad analizzarli. Le aziende riflettono sulle conseguenze psicologiche di questo stato di disoccupazione cronica? Ne parliamo in questo articolo.
“Le circostanze ultimamente sono così complicate che avere un lavoro è veramente una benedizione.”
-Jorge Bucay-
Disoccupazione cronica: perché le aziende non vogliono i senior?
Per prima cosa viene da chiedersi: una persona over 40-50 è meno abile al lavoro? Ha perso la capacità di lavorare, di imparare o di aggiornarsi? Ha meno conoscenza di un campo in cui, magari, ha lavorato per tanti anni? Oppure ho perso capacità ed efficienza? È meno responsabile di una persona giovane?
Probabilmente avrete risposto di no a tutte, o quasi, le domande. Fatta eccezione per casi specifici che richiedono forza o agilità fisica, casi di malattia o deterioramento cognitivo, una persona di 40-50 anni è perfettamente in grado di lavorare.
Le imprese, però, dichiarano di avere validi motivi per non assumere. Nell’ultimo sondaggio condotto dalla Fondazione Adecco è stato chiesto a 200 addetti alle risorse umane perché i profili meno giovani vengono scartati. Ecco alcune risposte:
- Il 75% pensa che non convenga assumere profili senior perché i problemi di salute potrebbero portare a un maggiore assenteismo.
- Il 66% ritiene che avrebbero difficoltà a inserirsi in una squadra giovane e soprattutto non accetterebbero volentieri la leadership di una persona più giovane.
- Un 40% crede che saranno meno flessibili.
- Secondo il 25%, le loro conoscenze e competenze tendono a essere poco aggiornate. Si ritiene che i senior siano obsoleti, non flessibili, restii ad acquisire nuove conoscenze o a imparare procedure nuove.
- Le responsabilità familiari non consentono la mobilità.
- Una persona più grande dà un’immagine aziendale peggiore. Un giovane dà all’azienda un’aria fresca, innovativa e flessibile.
- Non accettano stipendi bassi perché hanno esperienza e le aziende desiderano ridurre le spese. Questo è il motivo più diffuso.
Sfatare convinzioni… irrazionali?
Il problema principale è la cosiddetta generalizzazione o ipergeneralizzazione. Probabilmente esistono profili con oltre 25 anni di esperienza che non accetteranno lo stesso salario di una persona che alle spalle ne ha solo due. Ha una sua logica. Ma ci saranno altri che per disperazione o per “amore dell’arte” saranno disposti ad accettarlo. Allora, perché non provare a chiedere, prima di dare per scontato che rifiuteranno?
Lo stesso vale per gli altri punti. Ci saranno molti candidati non interessati a continuare la propria formazione, perché convinti di aver imparato tutto sul campo.
Altri professionisti restano aggiornati per l’intera vita lavorativa, continuando a frequentare corsi, congressi o persino arricchendo il curriculum con altre lauree o master. In quanto professionisti, devono sapersi adattare ai cambiamenti, se da ciò dipende un miglioramento dell’efficienza aziendale.
Per quanto riguarda gli impegni familiari, è riduttivo pensare che tutte le persone con una certa età abbiano una famiglia a carico o che le responsabilità familiari debbano interferire con il lavoro. Ed è ugualmente riduttivo pensare che dopo una certa età si abbiano problemi di salute. È vero che sono più frequenti con gli anni, ma anche un giovane potrebbe avere problemi cronici o pregressi.
Rispetto all’incapacità di adattarsi a un gruppo giovane, un senior potrebbe trovarsi a proprio agio con un responsabile più giovane perché in questo modo può approfittare della sua “freschezza” e imparare. In fine dei conti, possiamo imparare da tutti.
Non pensate che il timore possa invece essere della persona più giovane? Che possa chiedersi “cos’ho da insegnare?” o “come posso essere il suo capo se fino a due anni fa era il direttore di una multinazionale?”. Non sarebbe irragionevole pensarlo.
Le persone con più anni sono l’immagine della professionalità
Avere nel proprio organico un professionista non è forse positivo? È senz’altro importante apparire un’azienda aperta, dimostrando che è possibile affiancare profili junior e senior, e ottenere il meglio da questa combinazione.
Ma le convinzioni viste nel precedente paragrafo sono così radicate e generalizzate che i Curriculum vitae vengono scartati sulla base della data di nascita. Le aziende non sono capaci di riflettere sui vantaggi offerti da un profilo di età più avanzata e con esperienza. Il risultato è la disoccupazione cronica.
Conseguenze psicologiche della disoccupazione cronica
Proviamo a metterci nei panni di una persona che si è vista rifiutare da oltre 300 occupazioni, con quattro anni di disoccupazione, figli in età scolare e un partner nella stessa situazione. Il solo pensarci mette ansia, non è vero? Tra le conseguenze psicologiche di una disoccupazione di lunga durata possiamo trovare:
- Ansia e stress che derivano non solo dal fatto di non trovare lavoro, ma anche dall’impossibilità di affrontare le spese elementari: acqua, luce, cibo, alloggio, la scuola per i figli, ecc.
- Bassa autostima, sentimento di inefficacia e persino depressione. Non sentirsi abili per nessuna mansione può portare a ripensare all’intera carriera lavorativa, e se si è davvero in grado di lavorare.
- Senso di colpa: pur essendo vittime, non si riesce a uscire dal pozzo della disperazione.
- Disturbi fisiologici come variazioni dell’appetito e insonnia.
- Sentimento di impotenza. Convinzione che la situazione sia irreversibile.
Se questi disturbi emotivi si prolungano nel tempo e interferiscono con la vita quotidiana, risulta necessario ricevere un supporto psicologico professionale.
Il professionista non darà la pillola che risolve tutti i problemi, ma sicuramente può mostrare alcune linee guida utili per mantenere una routine sana, liberare dal senso di colpa e di impotenza e affrontare la delicata situazione in modo sano.
Proteggiamo i senior: hanno tanto da insegnare
L’OMS pone la discriminazione per età (ageismo) allo stesso livello della discriminazione razziale o sessuale. Riconosce, al tempo stesso, che si tratta della forma di discriminazione più normalizzata.
Probabilmente avrete visto più di uno slogan sui pregi delle persone mature, è triste che ve ne sia bisogno, eppure è così. Risulta indispensabile che qualcuno ci ricordi che i talenti senior hanno tanto da insegnare ai pulcini che si sono appena dischiusi al mondo del lavoro. E anche a chi non è più un pulcino.
Se vedessimo l’essere umano per quello che è, e non come un insieme di dati, forse il mondo sarebbe un po’ diverso. Aziende, ripensateci, vi state lasciando scappare dei talenti.