Effetto Zeigarnik: l'ansia per le azioni incompiute

L'effetto Zeigarnik potrebbe anche spiegare perché ci pentiamo più spesso di ciò che non abbiamo fatto rispetto alle azioni che abbiamo compiuto.
Effetto Zeigarnik: l'ansia per le azioni incompiute
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

L’effetto Zeigarnik ci ricorda che al cervello non piace fare le cose a metà, o, peggio ancora, ricevere informazioni ambigue o imprecise. Questo spiega, ad esempio, perché ci risulta fastidioso interrompere la lettura di un libro interessante. Tale caratteristica si celerebbe anche dietro l’ansia provata quando si viene lasciati da qualcuno senza spiegazioni.

Gli sceneggiatori del cinema e della televisione sono ben consapevoli di tale fenomeno psicologico. Ed è per questo che utilizzano da decenni il noto effetto Cliffhanger per fidelizzare gli spettatori. Questa tecnica consiste, come ben saprete, nel concentrare la massima tensione, le scene a effetto e le emozioni proprio alla fine delle puntate o delle produzioni cinematografiche.

Tale conclusione improvvisa e inaspettata costringerà lo spettatore ad attendere le nuove uscite. Tuttavia, è noto anche che ci stanchiamo spesso di questo stratagemma, in quanto ne comprendiamo l’aspetto manipolatorio. A ogni modo, nel quotidiano è quasi impossibile non essere soggetti a questo sofisticato quanto interessante meccanismo mentale.

La psicologia cognitiva è da sempre stata interessata all’effetto Zeigarnik e ai pensieri invadenti che ci fanno spesso visita a fronte di attività rimaste in sospeso o esperienze incompiute. Inoltre, questo fenomeno potrebbe anche spiegare perché ci pentiamo più spesso di quello che non abbiamo fatto rispetto alle azioni che abbiamo compiuto.

«Domani è solo un avverbio di tempo.»

-Graham Greene-

L’effetto Zeigarnik e il ristorante austriaco

Uomo dentro una clessidra

È il 1920, e ci troviamo in un piccolo ristorante in Austria. Seduta, c’è una giovane psicologa russa di nome Bluma Zeigarnik, un po’ spazientita per il ritardo del suo insegnante, Kurt Lewin. A un certo punto, Bluma smette di guardare l’orologio e inizia a partecipare, da buona osservatrice scientifica, a ciò che le accade intorno.

Nota subito qualcosa di curioso: i camerieri mostrano una memoria eccezionale nel ricordare le richieste di ogni cliente. Indipendentemente dalla complessità delle combinazioni di portate o bevande, non sbagliano mai. Tuttavia, Bulma nota qualcosa di ancora più sorprendente: nel momento in cui i clienti pagano il conto, i camerieri dimenticano all’istante le loro ordinazioni.

Viceversa, nelle loro menti rimane ancora ogni dettaglio di chi non si è ancora recato alla cassa. In altre parole, le transazioni non ancora effettuate rappresentano le attività in sospeso che il cervello non può dimenticare, sono conti non saldati, pertanto impossibili da dimenticare.

La giovane Bluma Zeigarnik fa quindi ritorno all’università e inizia subito il suo celebre studio, pubblicato nel 1927, con il titolo On Finished and Unfinished Tasks (Sulla memoria delle azioni compiute e incompiute).

Foto di Bluma Zeigarnik


Effetto Zeigarnik: l’ansia provocata dalle azioni incompiute

Si dice spesso che ciò che è incompiuto manifesta una propria bellezza intrinseca. Vi è una certa malinconia e tristezza in queste azioni, una strana angoscia per tutto quello che, a causa delle circostanze, non è stato possibile completare o addirittura intraprendere.

Possiamo trovare opere come la Sinfonia n.8 “Incompiuta” di Franz Schubert, una meravigliosa composizione secondo gli esperti, che l’autore è stato costretto ad abbandonare a metà a causa di una malattia.

Questi fenomeni, come star male per non aver avuto il coraggio di iniziare una relazione con un’altra persona, sono quelli che gli autori come Savitsky, Medvec e Gilovich, 1997 descrivono come “omissioni dolorose”.

Tutto ciò provoca, tra l’altro, sentimenti di disagio, rabbia o dolore quando gli altri non danno risposta alle nostre richieste, quando promettono cose che poi non mantengono o quando le relazioni amorose si interrompono senza capire pienamente la causa dell’abbandono.

Al cervello non piace l’ambiguità

Schiffman e Greist-Bousquet (1992) hanno condotto uno studio presso l’Università del Michigan grazie al quale hanno dimostrato un’altra caratteristica dell’effetto Zeigarnik. Al cervello non piace l’ambiguità. Non poter terminare un compito genera ansia, così come non capirlo o ricevere un’informazione ambigua o che ci faccia mettere in discussione quanto sopra.

Nella storia della televisione si cita sempre il fenomeno Lost. Questa serie, trasmessa tra il 2004 e il 2010 ha avuto un grande impatto psicologico in molte persone e per diversi motivi, soprattutto il suo finale. Molti spettatori lo considerano troppo ambiguo e difficile da capire.

In questo caso l’effetto Zeigarnik è stato duplice. Molte domande sono rimaste senza risposta e le spiegazioni date non sono state sufficienti per molti fan. Ma, forse, è stato proprio questo a generare il successo e la longevità della serie.

Effetto Zeigarniker: per concludere…

C’è un aspetto sul quale vale la pena di riflettere: che ci piaccia o no, la nostra realtà quotidiana e la trama dell’esistenza stessa è tessuta dall’effetto Zeigarnik. Ci saranno sempre questioni senza risposta, ambigue e persino inspiegabili, oppure che richiederanno un’inferenza personale, come nel caso delle opere di David Lynch.

Bisogna riuscire a tollerare l’incertezza e quei vuoti dove la logica è assente. La vita non è un videogioco, ovvero un mondo nel quale si può mettere in pausa un combattimento per riprenderlo in seguito. A volte ci sono aspetti che non si possono riprendere e che rimangono per sempre nell’universo della nostra mente. È un aspetto da considerare.

A ogni modo, è sempre interessante approfondire questi fenomeni psicologici, per comprendere meglio la metrica e l’unicità del nostro meraviglioso cervello.


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  • Reeve, J., Cole, S., and Olson, B. (1986). The Zeigarnik Effect and Intrinsic Motivation: Are They The Same? Motivation and Emototion, 10(3), 233-245.
  • Schiffman, N., Greist-Bousquet, S. (1992). The effect of task interruption and closure on perceived duration. Bulletin of the Psychometiric Society, 30 (1), 9-11.
  •  Zeigarnik, B. (1927). Uber das Behalten yon erledigten und underledigten Handlungen. Psychologische Forschung, 9, 1-85.

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