Esperienza spirituale ed effetti sul cervello

Quando si vive un'esperienza spirituale, il cervello umano subisce tutta una serie di modifiche e trasformazioni interessanti, che vale la pena di conoscere.
Esperienza spirituale ed effetti sul cervello
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 06 dicembre, 2024

Quando si parla di esperienza spirituale, ci si riferisce a incontri con entità superiori dal forte legame con la spiritualità e la fede. Questi “contatti” possono assumere molte forme, a seconda di come ognuno interpreta tale concetto. Ma cosa succede nel cervello durante un’esperienza spirituale, mistica o religiosa? Cercheremo di spiegarlo in questo articolo, quindi non perdetevelo!

La conseguenze a livello cerebrale di un’esperienza spirituale sono state più volte oggetto di studio. Diversi ricercatori, di fatto, hanno investito interi decenni incuriositi dall’influenza della spiritualità nella vita delle persone.

In particolar modo, si sono concentrati sullo studio e la verifica delle attività cerebrali nel momento in cui avviene una connessione spirituale. Ma non esiste un solo modo per interpretare queste esperienze, come vedrete di seguito.

“Stai cercando il silenzio della montagna, ma guardi solo fuori. A quel prezioso silenzio si può accedere solo da dentro, dal tuo stesso essere.”

Ramana Maharshi

Diversi modi per capire un’esperienza spirituale

Il concetto di “spiritualità” cambia notevolmente a seconda delle diverse culture e persone. Si può però affermare che una qualsiasi esperienza spirituale è quel fenomeno in grado di stimolare il cervello in modo complesso. Alla luce di ciò, definire un meccanismo cerebrale legato alla spiritualità non è un compito affatto semplice.

Donna che vive conseguenze cerebrali di una esperienza spirituale

Nonostante questo complicato obiettivo, i ricercatori hanno continuato a investire tempo e risorse al riguardo. Uno dei risultati più eclatanti è quello che ha permesso di mettere in evidenza l’idea che più aree cerebrali al contempo vengono coinvolte nell’elaborazione delle esperienze di unione con un essere superiore.

Un’altra ricerca ha permesso di verificare che gli individui coinvolti nella pratica spirituale a lungo termine presentano una minore attività del lobo parietale destro (relativo al metodo di auto-determinazione). In altre parole, sembra che le esperienze spirituali possano, per così dire, aumentare disinteresse nel cervello.

“Per vivere ogni giorno la spiritualità, dobbiamo ricordare che siamo esseri spirituali che trascorrono solo un certo tempo all’interno di un corpo umano”.

Barbara de Angelis

Spiritualità e depressione

Lisa Miller, autrice di The Oxford Handbook of Psychology and Spirituality edito dalla Oxford University Press, ha condotto una serie di studi sull’attività cerebrale delle persone con un’intensa vita spirituale. La sua ricerca ha rivelato che mostrano un chiaro ispessimento nella corteccia prefrontale.

La Dottoressa Miller afferma che le persone depresse mostrano gli stessi sintomi nella medesima regione del cervello. Questo dato ha permesso di formulare un’interessante ipotesi: la spiritualità e la depressione sono probabilmente due facce della stessa medaglia. La Miller e un gruppo di ricercatori hanno usato strumenti avanzati di biopsicologia, come la risonanza magnetica funzionale, per scoprire cosa succede nel cervello quando si verifica un’intensa esperienza spirituale.

Hanno scelto i volontari per gli esperimenti tra un nutrito gruppo di praticanti di una varietà di credi e religioni. In un primo esperimento, venne chiesto loro di ricordare un’esperienza spirituale personale, mentre i loro cervelli venivano sottoposti a scansione. Vennero usati dei copioni con istruzioni precise per poter descrivere ogni situazione specifica in cui i soggetti sentivano una forte connessione con un potere superiore o una presenza spirituale.

Donna in preda ad una esperienza spirituale

Poiché i volontari avevano credenze spirituali molto diverse, l’esperimento offrì un ampio spettro di possibilità. Da persone che descrivevano “una relazione bidirezionale con un potere superiore” a chi provava “un sentimento di unione con la natura” fino a notare “la sensazione di un’intensa attività fisica (come sport o yoga)” e ancora “un’improvvisa consapevolezza, connessione o galleggiamento, meditazione o preghiera”.

I ricercatori sostengono che questi risultati sono favoriti da una spiritualità più ampia e moderna che può essere indipendente dalla definizione di religiosità. Le loro scoperte sono state pubblicate sulla rivista Cerebral Cortex.

Spiritualità e stress

Studiare l’attività cerebrale dei volontari, mentre immaginavano un’esperienza spirituale personale, ha consentito agli scienziati di identificare le aree del cervello che sembrano essere maggiormente coinvolte nella elaborazione degli eventi spirituali.

La Miller e colleghi hanno anche confrontato questa attività cerebrale con quella di altri volontari che immaginavano esperienze stressanti o neutre, capaci sempre di innescare forti emozioni.

Così facendo, hanno scoperto che il lobo parietale inferiore, legato alla consapevolezza di sé e degli altri, riduceva la sua attività quando i partecipanti descrivevano un evento spirituale. Al contrario, aumentava in coloro che descrivevano situazioni di ansia o stress emotivo.

In seguito a questi risultati, il gruppo di studiosi ha stabilito che questa area del cervello può contribuire in modo significativo all’elaborazione della percezione e alle rappresentazioni del Sé e dell’altro durante le esperienze spirituali. Ciò sembra sostenere l’idea che le esperienze spirituali potrebbero aiutare a mitigare gli effetti negativi dello stress sulla salute mentale.

In questo senso, i risultati confermano la presenza di diversi meccanismi neuronali innescati proprio dall’esperienza spirituale. Infine, i ricercatori affermano che spiegare il modo in cui questi fenomeni vengono mediati dal cervello potrebbe facilitare il trattamento di alcune patologie mentali, se l’analisi venisse estesa alla popolazione clinica.


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