Etica di Kant: imperativo categorico

È un buon momento per ricordare l'etica di Kant, soprattutto se la società si inginocchia davanti agli interessi individuali e di parte.
Etica di Kant: imperativo categorico
Sergio De Dios González

Scritto e verificato lo psicologo Sergio De Dios González.

Ultimo aggiornamento: 11 ottobre, 2022

La storia della filosofia è la storia delle rivoluzioni, in termini di conoscenza, morale, politica, economia. In essa troviamo figure ammirate e odiate, una di queste è Immanuel Kant. Conoscete il noto filosofo di Königsberg e l’etica di Kant?

Si raccontano molti aneddoti sul filosofo tedesco. Si dice, per esempio, che fosse così abitudinario che i suoi concittadini regolavano gli orologi sulla sua passeggiata delle cinque. I biografi sottolineano, inoltre, la sua mancanza di ambizione, l’amore per il paese in cui è nato e morto, l’interesse per le relazioni intellettualmente stimolanti.

Stiamo parlando di un amante della fisica, della matematica e della scienza in generale. Fu appassionato di geografia e insegnante carismatico: molti studenti si spostavano fino a Königsberg per assistere alle sue lezioni, nelle quali raramente si trovava un posto libero. Innamorato del sapere, era cosciente di essere al tempo stesso seme di quell’amore nei suoi studenti.

Fu educato in un ambiente religioso e perse la madre quando era molto giovane. Ciononostante, la donna ebbe il tempo di insegnargli a guardare e nominare stelle; un ricordo a cui Kant avrebbe attinto con affetto per la sua Critica della ragion pratica. L’educazione ricevuta fu appesantita da una religiosità molto marcata, l’autoritarismo, il dogmatismo e l’oppressione che erano la regola nell’ambiente sociale dell’epoca e, per estensione, in campo educativo.

“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza”.

– Kant –

La rivoluzione di Kant

Joan Solé, scrittore spagnolo, collega il rapporto tra Kant e Hume al film Il monello di Charlie Chaplin. Nel film, il piccolo monello prende a sassate i vetri delle finestre per permettere al padre di offrire i suoi servizi di vetraio ambulante.

Hume sarebbe il monello, che distrugge gran parte della teoria sulla conoscenza fissata fino a quel momento e basata soprattutto sul pensiero di Cartesio. Kant è il vetraio.

“Kant ha trovato il vetro frantumato e si è offerto di sostituirlo, mettendo al suo posto un vetro smerigliato […] in modo che i filosofi fossero consapevoli di vedere il mondo attraverso un vetro traslucido. Pertanto, la rivoluzione proposta da Kant in termini di conoscenza è stata quella di mettere in rilievo un’idea su cui la psicologia fonda molti dei suoi interventi attuali. “Le nostre idee sono ben lungi dall’essere una riproduzione fedele del mondo”.

Per Kant, forse la filosofia sarebbe stata in grado di uscire dalla caverna di Platone. Tuttavia, seguendo Hume, ciò non significava poter contare realmente su strumenti sufficienti per accedere al mondo così com’è (noumenon).

In cambio, supera il relativismo in cui ci precipitano gli empiristi “Kant conserva l’impressione delle percezioni sensibili registrate dall’intuizione, ma la include in forme e schemi che non sono dati dalla sensibilità, ma fissati dal soggetto”.

L’imperativo categorico: il nucleo dell’etica di Kant

Kant intendeva l’etica come espressione della razionalità. Se il lettore curioso vuole andare alla sua esposizione originale, può trovarla nella Critica della ragion pratica e Fondazione della metafisica dei costumi – opere da digerire con molta più calma di questo articolo, anche se forse non sono, di tutte le opere del filosofo, quelle che più mettono alla prova la nostra comprensione di lettori.

D’altra parte, l’imperativo categorico rappresenta la maggiore età dell’etica, proprio come l’Illuminismo lo fu per il sapere. L’etica di Kant è tanto potente perché trascende le circostanze, l’individualità o l’essere condizionato. Non è, al tempo stesso, un’etica che priva della libertà.

È piuttosto un garante perché acquista significato proprio all’interno di questa libertà. Infine, si distingue per essere fine a se stessa, non è assoggettata alla felicità, all’amore o al piacere. Non è un mezzo per stare meglio con se stessi, un materasso viscoelastico per la propria autostima.

Seguire l’etica di Kant, formale e universale, richiede un certo sforzo

Non viene naturale, pertanto il nostro impegno verso di essa è il dovere, l’obbligo, l’imperativo. “Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale”.

Detto in altre parole, le nostre azioni rispettano l’etica di Kant se fanno sorgere il desiderio che tutti agiscano allo stesso modo. Questa è la svolta copernicana di Kant: l’etica non esiste come prodotto della libertà, dell’immoralità o dell’esistenza di Dio, ma piuttosto pone fondamento all’esistenza del resto degli elementi.

Statua di Kant a Kaliningrad.
Statua di Kant a Kaliningrad.

Se solleviamo il nostro sguardo al mondo, ci accorgeremo che l’etica di Kant non impera affatto. Il potere, o l’aspirazione al potere, la paura dell’incerto, il bisogno di sicurezza sembrano essere motivazioni molto più potenti dell’operare con l’onesta intenzione che questa condotta possa essere universale.

Diamo il benvenuto a chi entra nel nostro paese se porta denaro con sé; firmiamo la pace quando conviene più della guerra; scommettiamo sulla verità se ci dà più profitto della menzogna. Kant è morto duecento anni fa, ma probabilmente non abbiamo ancora iniziato a capire il suo messaggio.


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