Eudaimonia o chiave della felicità secondo Jung
Eudaimonia significa fortuna, ricchezza o felicità. È una fioritura interiore che, secondo Carl Jung, dovremmo stimolare entrando, prima di tutto, in contatto con il nostro daimon. Daimon è il demone, il genio interiore, l’archetipo che guida le nostre passioni e motivazioni inconsce, ciò che definisce la nostra essenza e a cui dovremmo dare ascolto più spesso.
Se c’è qualcosa che abbonda ovunque (libri, reti sociali, messaggi stampati sulle magliette) è il bisogno di essere felici. Non c’è messaggio pubblicitario che non alluda alla possibilità di sperimentare sensazioni nuove e meravigliose, dallo scattare foto con l’ultimo smartphone al guidare una determinata automobile. La visione attuale della felicità assume quasi un tono imperativo.
“Il carattere dell’uomo è il suo genio”.
-Eraclito-
Viviamo una postmodernità in cui l’obbligo di essere felici ci causa spesso infelicità. Ricordiamo le parole del matematico e filosofo Nassim Nicholas Taleb nel suo libro Il cigno nero: “crediamo ancora che il mondo sia pieno di cigni bianchi, che sia sufficiente sforzarsi per ottenere ciò che si desidera, che le promesse ricevute da bambini, un giorno si avvereranno”.
Secondo Taleb, Il nostro mondo, invece, è estremamente complesso. Tanto che, quando vediamo un cigno nero, non sappiamo come reagire, diventiamo vulnerabili perché non sappiamo in che modo gestire gli imprevisti e l’incertezza. La felicità, però, non potrà mai essere trovata al di fuori di noi. Dobbiamo rafforzare il nostro carattere, il nostro daimon, come direbbe Carl Jung.
L’eudaimonia e l’importanza di conoscere noi stessi
Uno degli eredi del pensiero di Carl Jung è stato James Hillman. Fu uno degli esponenti della psicoanalisi junghiana che più approfondì il concetto degli archetipi e, in modo specifico, l’ideale del daimon. Nel suo libro Il codice dell’anima ci ricorda l’importanza di entrare in contatto con quel genio o “demone” interiore per costruire una vita appagata, la vera felicità. Per comprendere meglio questa teoria interessante, analizziamo ciò che Hillman ci rivela nel suo libro.
Che cos’è un daimon?
- Daimon in greco significa demonio. Lungi dall’avere un’accezione negativa o maligna, simbolizza l’essenza più elevata dell’essere umano. Nell’etica di Aristotele, daimon è la virtù e la saggezza nel suo aspetto più pratico.
- Carl Jung ci spiega che il daimon risiede nell’inconscio. Guida molti delle nostre azioni, ci stimola, ci sussurra idee, ci ispira e dà forza all’intuito. Nella società attuale, con il nostro ritmo di vita, è comune smettere di dare ascolto a questa voce interiore.
- Un’educazione orientata a formare individui uguali e un mondo del lavoro che non valorizza l’originalità riduce drasticamente la possibilità di attingere luce da questo folletto interiore. Lui, invece, scoppia di vitalità, ha un enorme potenziale e vorrebbe liberare il suo impulso creativo. Non sempre abbiamo il coraggio di dargli spazio sufficiente.
Daimon e eudaimonia: una questione di coraggio
James Hillman sostiene che poche cose sono tanto importanti quanto dare ascolto a questo spirito, questa entità magica e colorata che vive nel fondo delle nostre motivazioni. Per questo motivo, nulla può ispirare più della frase inscritta sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: “conosci te stesso”.
Chi smette di guardare fuori, di dare priorità a quello che vogliono gli altri e inizia il viaggio della conoscenza di sé, sarà in grado di raggiungere il proprio daimon.
Purtroppo, abbracciare l’eudaimonia non è sempre facile, perché a volte il daimon vuole cose che il nostro ambiente circostante non comprende. Forse l’avvocato non vuole esercitare legge, forse vorrebbe essere un artista. Oppure è l’artista famoso e affermato che non vorrebbe più creare, e il suo demone potrebbe chiedergli di svolgere un lavoro umanitario. Può anche darsi che il nostro daimon ci chieda maggiore indipendenza, spazio personale e libertà che non osiamo chiedere.
L’eudaimonia richiede indubbiamente alte dosi di coraggio. Tuttavia, se non osiamo ascoltare la nostra voce interiore, quello stesso daimon, inquieto e impaziente di agire, finirà per punirci. Come ci ricorda Carl Jung, se non siamo capaci di ascoltare i bisogni del nostro daimon, la nostra anima si ammala. Andare contro i nostri desideri e le nostre motivazioni porta all’infelicità.
Come si coltiva l’eudaimonia?
Sappiamo che nulla può essere determinante quanto coltivare la conoscenza di sé. Prendere contatto con i nostri desideri, la nostra essenza, identità e valori personali è, senza dubbio, un modo per riconoscere e abbracciare il nostro daimon. Non basta, però, prendere contatto, dirgli “so che ci sei”. Dobbiamo dargli libertà, creativa e di espressione.
Coltivare la vera eudaimonia esige cambiamento, implica abbandonare gli schemi imposti dalla società, essere capaci di creare una realtà personale. Pertanto, dobbiamo essere pienamente consapevoli della complessità del nostro ambiente, in cui l’imprevisto, l’incertezza e le difficoltà sono la regola. Il daimon vuole delle cose, ma per raggiungere l’eudaimonia dobbiamo anche affrontare scenari in cui non sarà facile esprimerci, realizzarci.
Vale la pena di ricordare una frase di Immanuel Kant: per essere felici dobbiamo imparare a essere sagaci. Vale a dire, dobbiamo essere capaci di scegliere i mezzi adeguati per ottenere la maggior quantità di benessere. È chiaro che un’impresa simile, uno scopo del genere, non è facile.
Tuttavia, abbiamo sempre a disposizione la terapia junghiana. Questo approccio terapeutico è orientato a tale fine: mettere l’eudaimonia alla nostra portata; aiutarci a individuare le nostre singolarità e potenzialità per raggiungere la felicità desiderata, quella fatta su misura per noi.