Filosofia zen per fare ciò che desideriamo
In Occidente predomina l’idea che fare ciò che si desidera può condurre alla degenerazione o alla rovina. Siamo sottoposti continuamente a messaggi e imperativi che ci invitano – inducono – a pensare che la repressione dei nostri pensieri, sentimenti e desideri sia una prova di superiorità morale. Eppure, esistono altri modi di pensare, come la filosofia zen, che aiutano a vivere con più serenità.
La nostra è una cultura essenzialmente proibitiva. Partiamo dal concetto che l’educazione consiste nell’imparare a evitare pensieri, comportamenti e sentimenti indesiderati. Senza capirne il perché, fin dall’infanzia, ci viene inculcato il pensiero che fare ciò che vogliamo è un segno di immaturità.
La filosofia zen orienta il pensiero verso una direzione ben diversa. Da millenni, i seguaci di questa forma di pensiero hanno capito che il divieto genera un effetto contrario. In altre parole, la repressione finisce per aumentare il desiderio di fare ciò che viene proibito. Tutto quello che viene etichettato come negativo e che va evitato, come esempio di buona azione, assume un’attrazione ancora più potente, per il semplice fatto di essere stato vietato in modo autoritario.
“La repressione dall’esterno viene sostenuta da una repressione dall’interno. L’individuo senza libertà trasferisce i propri dominatori e le loro regole all’interno del proprio apparato mentale. La lotta contro la libertà si riproduce, allo stesso modo, nella psiche dell’uomo represso”.
-Herbert Marcuse-
La filosofia zen: il conflitto tra agire e non agire
Gli studi antropologici di Margaret Mead hanno evidenziato le differenze di valori e regole, osservando diversi tipi di società. La famosa ricercatrice sottolinea alcuni punti importanti dei suoi studi. Fra questi, il fatto che nelle società più maschiliste o più matriarcali, esiste una maggiore percentuale di omosessuali. Dal punto di vista della cultura occidentale, questa sarebbe una contraddizione. Ma dal punto di vista della filosofia zen, è una conseguenza logica del divieto di una determinata propensione sessuale.
Parlando di proibizionismo, un altro esempio chiaro è quello del consumo di alcol negli Stati Uniti. Per molti anni, l’alcol è stato considerato un prodotto illegale e, in risposta a questa legge, non solo il suo consumo illegale aumentò enormemente, ma aprì la porta allo sviluppo di una criminalità organizzata che si dedicava al contrabbando di bevande alcoliche.
A differenza di quello che pensavano i sostenitori del proibizionismo, quando l’alcol venne legalizzato, il numero di consumatori non aumentò. Anzi, con il tempo, sono aumentati i consumatori di droghe illegali.
Questi dati dimostrano che la repressione, di per sé, non è la strada per gestire i desideri che potremmo definire negativi. La filosofia zen, al contrario, invita ad accettare pensieri, sentimenti e desideri proibiti, nel tentativo di capirli. Si tratta, infatti, dell’unico modo per eliminarli. Alcuni esperimenti confermano quest’approccio.
Un esperimento con il desiderio
Il professor Carey Morewedge , dell’università di Boston, ha condotto un esperimento particolarmente illustrativo di questo tipo di dinamiche. Ha riunito 200 persone che si dichiaravano amanti del cioccolato. Questi volontari sono stati divisi in due gruppi. Al primo gruppo venne chiesto di immaginare di mangiare 30 cioccolatini, uno per uno. Al secondo gruppo, venne chiesto di immaginare di mangiare solo 3 cioccolatini.
Nella stanza, davanti a entrambi i gruppi, vi era una ciotola piena di cioccolatini squisiti. L’ipotesi iniziale era che il primo gruppo, dovendo pensare al cioccolato in modo ripetitivo, avrebbe sperimentato un desiderio più forte di mangiare cioccolato. Mentre il secondo, che doveva pensarci solo 3 volte, avrebbe avuto un desiderio minore.
La cultura occidentale ci dice che alimentare il pensiero con un’immagine genera un desiderio verso quell’immagine. In realtà, l’esperimento ha dimostrato l’esatto contrario. Le persone del primo gruppo, che pensavano al cioccolato 30 volte, non hanno mangiate neanche un cioccolatino della ciotola. Quelli che potevano permettersi “solo” 3 cioccolatini immaginari, sentirono invece il bisogno di mangiarne più d’uno.
La repressione del pensiero
Gli studiosi sono giunti alla conclusione che quando cerchiamo di non pensare a qualcosa, il risultato è esattamente l’opposto: non possiamo smettere di pensarci. Se non vogliamo pensare ai fantasmi, inizieremo a vederli dappertutto. La repressione di un pensiero, dunque, concentra la nostra attenzione proprio su quel pensiero che cerchiamo di evitare.
Questo dimostra che se ci dedichiamo a visualizzare i nostri desideri con tutti noi stessi, probabilmente i pensieri che vogliamo reprimere perderanno forza. Dopo aver sviluppato quest’idea, possiamo declinarla a nostro favore, a seconda del momento. Sentire il desiderio di aggredire qualcuno è molto diverso dall’aggredirlo davvero. Seguendo questa logica, visualizzare nella nostra mente l’aggressione farà sì che questo pensiero distruttivo perda la sua potenza ed evita che si trasformi in un’azione violenta.
In questo modo il cervello ci inganna – o ci salva – confondendo la realtà e l’immaginazione. Questo tipo di “errore” può essere molto utile in diverse occasioni. Quando i nostri desideri vanno contro noi stessi o gli altri, non c’è niente di meglio che lasciare che la nostra mente giochi con essi. Probabilmente, solo con questa semplice azione, il desiderio perderà la sua forza. E ci sentiremo liberi.
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Butler, J. (2001). Mecanismos psíquicos del poder: teorías sobre la sujeción (Vol. 68). Universitat de València.