I due orologi cerebrali per prevedere il futuro

Tutti disponiamo di due “orologi” cerebrali, delle aree neurali situate nel cervelletto e nei gangli della base. La loro azione congiunta ci premette di fare delle previsioni a breve termine.
I due orologi cerebrali per prevedere il futuro
Valeria Sabater

Scritto e verificato la psicologa Valeria Sabater.

Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2021

Facciamo previsioni quasi in ogni ogni momento. Sappiamo, per esempio, quando sta per arrivare la parte che più ci piace della nostra canzone preferita. Oppure tendiamo ad accelerare il passo quando percepiamo che un semaforo sta per diventare rosso. Prevediamo il futuro in modo semplice e strumentale grazie a due favolosi e precisi orologi cerebrali.

Albert Einstein diceva che il tempo è poco più di un’illusione. Se c’è un organo che sembra comprendere questa dimensione in modo quasi oggettivo è proprio il cervello. Grazie a esso, siamo in grado di prevedere eventi che possono accadere in un momento preciso e a reagire in modo da sfruttarli a nostro favore.

Quel quid che ci permette di sterzare all’ultimo momento per evitare un incidente o che ci aiuta a scegliere le parole giuste durante una conversazione intuendo le frasi che possano aiutare il nostro interlocutore.

Gli esperti, pertanto, parlano più di “sintonizzazione” che di anticipazione. Per la maggior parte del tempo, ci adattiamo agli eventi che accadono intorno a noi per prevenire i rischi e trarre sempre beneficio.

“Non preoccuparti se il mondo finirà oggi. È già domani in Australia.”

-Charles Monroe Schulz-

Sveglia bianca e nera.

I due orologi cerebrali con cui prevediamo cosa accadrà

Gli esseri umani hanno inventato gli orologi con un unico scopo: misurare con precisione lo scorrere del tempo. Grazie a ciò, questa dimensione è sempre lineare. Per il nostro cervello, al contrario, l’idea del tempo è più complessa. Quando siamo felici e ci divertiamo, il tempo scorre molto in fretta. Altre volte, invece, soprattutto quando si verificano eventi traumatici, sembra fermarsi.

Allo stesso modo, a causa delle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e il morbo di Parkinson, il concetto di tempo e di ritmo risultano alterati. È come se dentro di noi accadesse qualcosa che ci fa vivere il tempo in modi diversi. La risposta a questo enigma si trova nei cosiddetti orologi cerebrali.

Un posto nel cervello in cui risiede il tempo

Nel nostro cervello c’è un luogo in cui risiede il meccanismo per comprendere il tempo. Nel 2005 sono state scoperte le cellule che compongono il nostro sistema GPS (che ci permettono di sapere dove siamo e di orientarci).

Oggi uno studio dell’Università di Berkley ci spiega dove e come funziona quell’area del cervello che articola e controlla il senso del tempo:

  • Si tratterebbe in realtà di due aree che gli scienziati hanno chiamato orologi cerebrali e che si trovano nel cervelletto e nei gangli della base. Le due aree lavorano congiuntamente e ci permettono di fare previsioni a breve termine.
  • Il cervelletto funziona in modo specifico, ovvero il cosiddetto tempo o ritmo dell’intervallo, e si attiva quando riceve informazioni dai nostri sensi. Regola anche la coordinazione motoria e l’attenzione e, secondo gli esperti, ci permette di reagire anticipando cosa può accadere in un brevissimo arco di tempo.
  • L’orologio dei gangli della base regola il movimento, la percezione e il calcolo del passare del tempo.

Ogni orologio cerebrale situato in un’area cerebrale lavora in modo coordinato. Ci consentono di prevedere le strategie quando giochiamo a calcio, durante una partita a scacchi o quando parliamo con qualcuno. Allo stesso modo, sfruttano l’esperienza e la memoria per ottenere informazioni su come agire e anticipare un evento.

Cervello con dentro gli orologi cerebrali.

Gli orologi cerebrali: una speranza per alcune malattie

Il Dottor Assaf Breska, autore dello studio citato, ci offre informazioni interessanti che ci fanno ben sperare. È noto che i pazienti con degenerazione del cervelletto e con Parkinson hanno difficoltà a reagire agli stimoli ambientali. I primi non rispondono ai segnali “non ritmici”, mentre i secondi mostrano dei deficit legati al ritmo e a tutto ciò che si basa sulle sequenze (musica, movimento, ecc.).

In entrambi i casi si verifica una distorsione molto evidente del fattore tempo (ad esempio, la mancanza di coordinazione) che ha sul paziente effetti osservabili quotidianamente. Si ritiene che in entrambi i casi vi sia un problema a carico degli orologi cerebrali.

Nei malati di Parkinson vi è un deficit dell’orologio dei gangli della base, invece nei pazienti con degenerazione del cervelletto un deficit in quell’area così importante che anticipa il futuro.

La buona notizia è oggi sappiamo che con l’allenamento la funzione di un orologio può essere svolta dall’altro. La terapia si baserebbe su vari giochi per computer e sulla stimolazione cerebrale profonda. Questa terapia consentirebbe ai malati di muoversi e reagire con più naturalezza nell’ambiente circostante.

Si tratta, tuttavia, di ricerche ancora in fase sperimentale, dunque a oggi non esistono trattamenti definiti. Attendiamo speranzosi futuri progressi in questo ambito.


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  • Albert Tsao, Jørgen Sugar, Li Lu ,Cheng Wang et al. (2018) Integrating time from experience in the lateral entorhinal cortex. Nature. DOI  10.1038 / s41586-018-0459-6
  • Assaf Breska et al. Double dissociation of single-interval and rhythmic temporal prediction in cerebellar degeneration and Parkinson’s disease, Proceedings of the National Academy of Sciences (2018). DOI: 10.1073/pnas.1810596115

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