Il tempo non cura tutte le ferite

Il tempo può curare tutte le ferite? Si dice che di solito è così. In questo articolo andremo a vedere cosa c'è di vero e di falso in questa affermazione e quali sono le conseguenze per chi la sostiene.
Il tempo non cura tutte le ferite
María Alejandra Castro Arbeláez

Scritto e verificato la psicologa María Alejandra Castro Arbeláez.

Ultimo aggiornamento: 30 dicembre, 2022

Ci sono dolori così intensi che lacerano l’anima. È come se fossimo caduti in un abisso profondo con un’uscita difficile da trovare. In queste situazioni, si dice che il tempo cura tutte le ferite, in realtà non sempre è così.

La vita è fatta di alti e bassi e ognuno, nella propria unicità, li vive in modo diverso. La verità è che, a volte, è difficile superare situazioni complesse perché il mare delle emozioni ci travolge. Quindi, non sappiamo mai da dove cominciare.

Ci hanno sempre detto che il tempo cura tutte le ferite. Purtroppo, non sempre è così. In questo articolo diciamo perché.

“Ci sono ferite che invece di aprirti la pelle, ti aprono gli occhi”.

-Pablo Neruda-

Donna che piange.

Il tempo non cura tutte le ferite, le nasconde

Dopo aver superato un dolore profondo, tendiamo a dire: “il tempo lo ha curato”. Ma è davvero così? Se lasciamo avanzare la lancetta dei secondi mantenendo un atteggiamento passivo, è difficile che le ferite profonde si rimarginino. Piuttosto, possiamo anestetizzarle, ma non guarirle.

Perché ci comportiamo così? Potremmo non voler vedere quel dolore, quindi, preferiamo dedicarci ad altre attività, non pensarci e allontanarci dagli stimoli che possono ricordarci situazioni spiacevoli. Inoltre, potrebbe trattarsi di un’emozione mascherata. In questo senso, il dolore non si manifesterebbe come tristezza, bensì come rabbia o addirittura euforia.

Pensare in questo modo può aiutarci ad allontanare le nostre emozioni e i nostri pensieri

Ci sono dolori che è difficile esprimere, sofferenze che non riusciamo a etichettare, che scivolano via quando si cerca di esprimerle in parole. In questi casi, possiamo provare a impacchettare il dolore e inviarlo nel luogo più remoto della nostra memoria.

Questo è un meccanismo di difesa. Si allontanano e rimuovono i desideri, i sentimenti e i pensieri dalla coscienza. Secondo Sigmund Freud, padre della psicoanalisi, è un modo per rendere inconsci i contenuti inaccettabili.

Donna triste e pensierosa.

Il tempo non passa quando abbiamo un atteggiamento passivo

Dando al tempo un potere curativo, attribuiamo una nostra responsabilità a un fattore esterno. È come se lasciassimo che gli eventi si accumulino su un libro che dobbiamo restituire alla biblioteca nella speranza che, una volta dato via, gli eventi spiacevoli si eliminino dalla nostra realtà psichica… come quel libro dalla nostra scrivania.

Il grande pericolo di procedere in questo modo è che ciò che rimane sepolto non smette di erodere la nostra motivazione, appesantire la nostra volontà o penalizzare i nostri obiettivi. Quindi, possiamo arrivare a un punto in cui continuiamo a farci del male senza essere in grado di identificare quello che ci fa soffrire perché l’abbiamo sepolto dentro di noi.

Può anche succedere di dare al tempo un ruolo da protagonista che in realtà non ha (è un possibile scenario). Ciò vuol dire sminuire tutte quelle strategie che siamo riusciti a mettere in atto per identificare e far emergere le cicatrici che ci fanno male.

Ciò può essere un ostacolo per superare difficoltà future e per riutilizzare delle strategie che hanno avuto successo in passato. Questo atteggiamento potrebbe minare la nostra autostima sminuendo gli appigli su cui cresce.

Ne consegue che l’idea che il tempo curi tutte le ferite può essere la nostra peggior nemica perché ci impedisce di procedere, sul piano psichico, nella scelta delle strategie di coping.

Dobbiamo essere i fautori del nostro cambiamento, persone resilienti che accettano il dolore, lo esprimono, lo trasformano e gli danno un significato diverso per migliorare la qualità della nostra vita.


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  • Riso, W. (2006). Terapia cognitiva. Fundamentos teóricos y conceptualización del caso clínico. España: Editorial Paidós.

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