Nuove informazioni su come si generano nuovi ricordi
Il cervello è l’organo responsabile di due capacità fondamentali: pensare e agire. Entrambe, per essere messe in moto, hanno bisogno della capacità di acquisire (immagazzinare) e di ricordare (recuperare) le informazioni che riceviamo. I grandi progressi della neuroscienza ci hanno permesso di conoscere alcuni dei meccanismi che si attivano per godere di queste abilità, prestando un’attenzione particolare alle zone coinvolte nella creazione di nuovi ricordi.
La fantascienza da una parte e l’influenza mediatica dall’altra hanno fatto sì che, nell’inconscio collettivo, perdurino alcuni errori, miti o approcci poco precisi sul nostro sistema nervoso centrale: dall’accettare che il cervello sia come un computer, a pensare che sia composto da una struttura malleabile dalle innumerevoli capacità.
Al giorno d’oggi sappiamo che non è poi così sicuro, poiché abbiamo maggiori informazione su come si formano e su come comunicano queste piccole cellule magiche chiamate neuroni.
Dove si conservano i ricordi?
I ricordi a breve e lungo termine si formano in simultanea e vengono rispettivamente immagazzinati nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale.
In questo senso, l’area cerebrale nella quale accantoniamo i ricordi a breve termine è già stata identificata e non è la stessa coinvolta nel processo di memorizzazione a lungo termine. Uno studio condotto da alcuni studiosi dell’Istituto Picower per l’apprendimento e la memoria dell’Istituto di tecnologia del Massachusetts con sede a Cambridge è riuscito, per la prima volta, a descrivere dove e come si creano i ricordi a lungo termine.
Come indica Mark Morrissey, coautore della ricerca, i ricordi si formano in parallelo per poi imboccare strade diverse: quelli della corteccia prefrontale si rafforzano, mentre quelli dell’ippocampo diventano più deboli (a meno che non vengano ripassati).
La novità di questo studio consiste nell’aver dimostrato che la comunicazione fra la corteccia prefrontale e l’ippocampo è molto importante. Se si interrompesse il circuito che collega queste due regioni cerebrali, gli engrammi della corteccia non maturerebbero correttamente. In altre parole, non si immagazzinerebbero ricordi a lungo termine.
I ricordi sono assolutamente essenziali per il nostro sviluppo e la nostra sopravvivenza. Ancora di più se si tratta dei ricordi negativi che, sotto forma di allarme, ci avvisano sul rischio che possiamo correre ripetendo un comportamento che in passato ci ha causato sofferenza. È per questo che, con l’obiettivo di tenerci vivi e dare un senso alla sofferenza, il cervello ha bisogno di conservare i ricordi a lungo termine.
I nuovi ricordi dipendono dai nostri neuroni
I risultati dello studio di Mark Morrissey hanno mostrato che i neuroni della memoria si trovano in tre aree cerebrali: nell’ippocampo, nella corteccia prefrontale e nell’amigdala, quest’ultima implicata nei ricordi associati alle emozioni.
In definitiva, questi risultati demoliscono molte teorie anteriori sul consolidamento dei ricordi, le quali sostenevano che i ricordi a breve e lungo termine non si formassero in maniera simultanea nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale, ma che si generassero nell’ippocampo per poi, successivamente, essere trasferiti alla corteccia cerebrale.
I neuroni, nella pratica, funzionano mediante la comunicazione, poiché il cervello utilizza poche cellule cerebrali per ricordare qualcosa che ha visto. Questo contraddice tutto ciò che si è pensato finora, ovvero che il cervello usasse un’enorme rete di neuroni per conservare i ricordi. La ricerca suggerisce che i neuroni agiscono come cellule pensanti, capaci di specializzarsi in determinati ricordi, selezionati in precedenza dal cervello.
Questa scoperta potrebbe servire a restituire “artificialmente” la memoria alle persone che hanno subito danni cerebrali o che sono affette da malattie come l’Alzheimer. Allo stesso tempo, i risultati suggeriscono l’esistenza di un codice cerebrale che gioca un ruolo importante nella consapevolezza della percezione visiva e nei processi cerebrali per elaborare la memoria astratta.
Al di fuori dell’ambito della neurologia, questa scoperta contribuirà senza dubbio allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e delle reti neuronali, migliorando l’architettura di molti dispositivi tecnologici di uso quotidiano e che utilizziamo per conservare e processare le informazioni.
Ippocampo, corteccia prefrontale e amigdala
Negli anni ’50 è stato studiato il caso del paziente Henry Molaison, il quale, a seguito di un’operazione per tenere sotto controllo le sue crisi epilettiche, subì danni all’ippocampo. Come risultato dell’operazione, infatti, Molaison non riuscì più a creare nuovi ricordi, ma conservava comunque quelli che aveva prima di entrare in sala operatoria; ciò rivelò l’importanza dell’ippocampo nella formazione di nuovi ricordi a lungo termine .
Questo caso suggerì che i ricordi episodici a lungo termine su eventi specifici si immagazzinano fuori dall’ippocampo, area che gli scienziati identificano con la corteccia prefrontale, la parte del cervello incaricata delle funzioni cognitive, quali la capacità di pianificare o prestare attenzione.
Questo suggerisce che le teorie tradizionali sul consolidamento dei ricordi possono non essere esatte, sebbene siano necessari nuovi studi per determinare se i ricordi si cancellino del tutto dalle cellule dell’ippocampo o se dimenticare qualcosa sia semplicemente un problema di recupero delle informazioni.
Da parte sua, anche l’amigdala svolge un ruolo importante nel determinare la struttura con la quale immagazziniamo i nuovi ricordi. L’associazione dei nuovi ricordi con gli stati emotivi consente una maggiore connessione e fissazione delle situazioni da ricordare. Come dire, l’amigdala è incaricata di dare un’impronta (importanza) più o meno grande a un ricordo, in funzione delle emozioni a esso associate. Influisce anche quando si tratta di determinare quali dettagli di un ricordo resteranno più a fondo in tale impronta e quali meno.
L’amigdala ha una funzione protettrice e spiega perché è possibile che alcune persone abbiano così tanta paura dei cani (memoria emotiva), ma non ricordino la situazione dalla quale tale paura è scaturita (memoria narrativa). Probabilmente questo capita a causa dello stress che hanno provato in un evento passato con suddetti animali, oppure l’evento iniziale può essere stato accompagnato da molti altri. Questo tipo di memoria, la memoria emotiva, è quella che ci permette di ricordare quali tracce dell’ambiente si associano a un avvenimento pericoloso o benefico.
L’attivazione dell’amigdala di fronte a stimoli che ci incutono timore potenzia l’impronta dei ricordi, rendendola profonda. In altre parole, ricordiamo meglio le cose che ci capitano quando, allo stesso tempo, proviamo emozioni intense; è dunque l’eccitazione o attivazione emotiva a far sì che i ricordi si consolidino.
Abbiamo esposto alcune delle scoperte più rilevanti degli ultimi anni sulla memoria e la generazione di nuovi ricordi. Tuttavia, le risposte che gli scienziati sostengono al momento non sono affatto chiuse. Inoltre, trattandosi di scoperte recenti, non le abbiamo ancora sfruttate al meglio per migliorare la vita delle persone con problemi di memoria.
La differenza fra i ricordi falsi e quelli veri è la stessa che si ha fra i diamanti e le imitazioni: di solito sono falsi quelli che sembrano più puri, i più brillanti.