La sindrome del martire: cosa c'è dietro?
Ci sono persone che mettono gli altri davanti a sé e che addirittura considerano sistematicamente le esperienze altrui più importanti delle proprie. Così facendo, finiscono per adottare il ruolo di vittime: sono incomprese e soffrono più degli altri. Questo modo di vivere la vita prende il nome di sindrome del martire.
Da un punto di vista psicologico, adottare un tale atteggiamento è una scelta del tutto volontaria in una sorta di ricerca della sofferenza e del sentirsi perseguitati; questo perché si tratta di una dinamica che fomenta determinati bisogni psicologici. La sindrome del martire viene spesso giustificata con la scusa dell’amore, del dovere o del sacrificio.
Un aspetto curioso è che la ricerca di sofferenza porta il martire a stare meglio, in qualche modo. Secondo il suo personale punto di vista sul mondo, prendersi carico di questa sofferenza è un atto di bontà, visto che così facendo la risparmierà a un’altra persona o spingerà quest’ultima a essere più coraggiosa.
Eppure, si tratta di uno schema autodistruttivo, che porta a ignorare le proprie esigenze, a trovare e a perseguire situazioni che causano angoscia.
Come si comporta una persona con la sindrome del martire?
Per individuare una persona potenzialmente affetta da questo disturbo, bisogna prestare attenzione ad alcuni comportamenti, pensieri e valori. Tra questi:
- Si ritengono brave persone, eroi o santi. Al contrario, vedono gli altri come egoisti o insensibili, incapaci di dare valore ai loro sacrifici.
- Tendono a esagerare l’intensità della propria sofferenza per dare agli altri l’impressione di persone che si sacrificano. Anche i loro discorsi sono volti ad attirare l’attenzione e la riconoscenza di chi li ascolta.
- Soffrono di bassa autostima. Questo significa che spesso si lamentano di non essere degni o di non meritare amore, oppure tendono a sottovalutare la propria persona.
- Fanno fatica a dire di no e a mettere dei limiti. Questo le porta a farsi carico di continui favori e compiti oppure a cadere nella trappola dei rapporti violenti. E poi esistono anche quei martiri che curiosamente si trasformano in manipolatori. Questi ultimi approfittano del proprio ruolo di vittima per perpetrare un ricatto emotivo e ottenere ciò che vogliono gli altri.
- Non fanno nulla per risolvere i loro problemi e ammesso che a un certo punto si risolvano da sé ne troveranno altri di cui lamentarsi.
- Per tendenza cercano dei modi per dimostrare la propria bontà e le proprie buone intenzioni, mentre creano situazioni che mettano gli altri in cattiva luce.
- Di solito restano delusi dalla reazione altrui a una loro azione altruista. Spesso non sono soddisfatti della reazione altrui, visto che in fondo qualsiasi buona azione viene fatta affinché gli altri ammirino il loro comportamento.
Come comportarsi con chi soffre della sindrome del martire?
Rapportarsi a una persona che soffre della sindrome del martire non è affatto facile. Si lamenta sempre di quanto stia male e questo può essere estremamente nocivo per gli altri..
Può anche farci sentire in debito a seguito delle molte offerte di aiuto da parte della persona. Si consiglia di mettere in pratica tre semplici strategie per gestire la situazione:
- Non accettare favori o altri gesti a proprio vantaggio che l’altro possa percepire come un sacrificio. Più riceviamo da una persona che soffre di sindrome del martire, più rimarrà delusa da noi, e ciò provocherà dei conflitti in futuro. Il punto, tuttavia, non è rifiutare ogni proposta, bensì valutare quanto sia necessaria e cercare di indurre l’altra persona a essere indipendente.
- Non fomentare i sentimenti di compassione e vittimismo. Bisogna sforzarsi di non cadere nella compassione né di rafforzare il senso di angoscia. Fare commenti che mettano in luce un aspetto positivo può essere d’aiuto.
- Mantenere una conversazione. Se la persona in questione è importante per voi, cercate il confronto, spiegandole che i suoi comportamenti non vi fanno stare bene, né fanno bene a lei. In un primo momento, la sua reazione sarà di difesa, ma potrete aiutarla mantenendo i toni pacati, apprezzando i suoi sforzi e offrendo soluzioni alternative.
E se i martiri siamo noi?
Ancora più difficile dell’avere a che fare con chi soffre della sindrome del martire è accorgersi di interpretare il ruolo di vittima. Se sospettiamo di agire in questo modo, dovremmo valutare la nostra condotta sulla base dei seguenti aspetti:
- Ci sentiamo infastiditi dalle reazioni altrui nei confronti dei gesti che abbiamo compiuto per loro. Oppure pensiamo che gli altri non reagiscano come “dovrebbero”.
- Quando ci offriamo di fare qualcosa, ma non riusciamo a portarla a termine, inventiamo una scusa qualsiasi.
- Se abbiamo detto di no, temiamo che gli qualcun altro possa sostituirci o ritenuto migliore di noi.
- Ci offriamo subito di dare una mano senza prima valutare sapientemente le nostre opzioni.
- Sentiamo di anteporre gli altri a noi stessi.
Se siamo i martiri, come possiamo cambiare le cose?
Innanzitutto, ammettere il problema è il passo più importante verso il cambiamento. Il secondo è prenderne coscienza e cercare modi alternativi per agire, che non renderanno persone peggiori.
Sentirsi accettati o amati non dipende da ciò che facciamo, bensì da chi siamo. Sforzarsi di compiacere e soddisfare le esigenze di tutti è un sovraccarico mentale e quotidiano che non porta da nessuna parte.
Nelle nostre relazioni sociali dobbiamo cercare di interagire in modo diverso, dovremo assumere un ruolo nuovo. Se fino a oggi eravamo in attesa di ciò che gli altri avrebbero detto o fatto, forse è il momento di prendere l’iniziativa, decidere e pensare a noi stessi.
La sindrome del martire e il cambiamento
Un aspetto fondamentale in questo percorso verso il cambiamento è chiedersi se ci rapportiamo in modo sano agli altri, ovvero se ci mettiamo al di sopra, al di sotto o accanto agli altri.
E, soprattutto, assumerci le nostre responsabilità e rispettare gli spazi altrui. È giunto il momento di riconoscere i nostri errori e di capire che ognuno di noi reagisce e percepisce la vita a modo suo. Così, la nostra vita non può dipendere dagli altri.
Infine, parliamo con gli altri della fase di cambiamento che stiamo vivendo. Di sicuro ci capiranno e ci apprezzeranno, rendendo il percorso più semplice e sopportabile. Ma bisogna essere pazienti: ci saranno persone che potrebbero approfittare di questa situazione o che avranno semplicemente bisogno di più tempo per adattarsi al nostro nuovo modo di agire.