L'importanza dell'intelligenza emotiva
Nel film A beautiful mind, il quale narra la lotta contro la schizofrenia del matematico John Nash, premio Nobel per l’economia, c’è una scena che esemplifica l’intelligenza emotiva. Un giovane Josh Nash si trova in un bar quando si avvicina una ragazza che attira la sua attenzione. Invece di usare le tipiche frasi di conquista, caratterizzate da un gioco discreto, la sua proposta è diretta e senza mezzi termini: preferisce risparmiarsi tutto il rituale del corteggio ed esige uno “scambio di fluidi”.
Romantico da morire. La ragazza, che lo guarda attonita, non può che pensare che si tratti di un buzzurro. Tuttavia, John Nash è considerato un’eminenza, e già durante questi precoci anni giovanili si contraddistingue, persino tra i suoi stessi professori dell’università. Ad ogni modo, a livello di intelligenza emotiva, il suo coefficiente intellettivo non doveva essere molto elevato.
L’intelligenza emotiva è l’abilità che ci permette di controllare le nostre emozioni ed esprimerle in modo assertivo. Anche se la parola “intelligenza” di solito è legata a concetti riguardanti la memoria e la capacità cognitiva, la mente è molto più ampia e dal secolo scorso gli studiosi si sono dedicati ad analizzare altre aree del cervello.
Fin dalle origini dell’essere umano le emozioni conducevano le danze: il tronco encefalico, la parte più primitiva del cervello, che controlla le funzioni basilari, diede origine ai centri emotivi e fu solo milioni di anni dopo che si formò la neocorteccia, la quale ci fornisce la capacità di raziocinio. È proprio in questo ordine che agiamo ancora oggi: prima proviamo qualcosa e poi ragioniamo al riguardo; prima ci fa male un dito e poi ci rendiamo conto che è rimasto chiuso nella porta.
L’amigdala, invece, è la parte del cervello in cui vengono controllate le emozioni. Se si separa, perdiamo la capacità di analizzare il significato emotivo degli avvenimenti e la memoria si danneggia, dato che è essa che conserva tutti i ricordi legati alle nostre emozioni, sia felici sia traumatiche. Senza amigdala, inoltre, perdiamo la capacità di produrre le lacrime. Una vera cecità affettiva.
Risiede in essa anche il motivo per cui le esperienze della nostra infanzia svolgono un ruolo così importante nella nostra vita adulta. Da bambini memorizziamo i ricordi direttamente nell’amigdala, senza un processo verbale che li supporti. In questa fase, i fatti si limitano a pure emozioni e non abbiamo bisogno delle parole per spiegare quello che era successo e perché. Crescendo, questi ricordi emotivi si presentano diverse volte, spesso senza poterli controllare, anche se il nostro io adulto sa che sono irrazionali.
Molti bambini ed adolescenti problematici a scuola vengono erroneamente classificati come stupidi, ma in realtà il loro problema non è un limite cognitivo, ma emotivo: hanno difficoltà nel maneggiare le proprie emozioni ed i propri impulsi. Tutti i nostri pensieri sono orientanti sul garantirci un comfort emotivo. Se non siamo a nostro agio, per quanto le circostanze possano convincerci del contrario, non saremo nelle condizioni di trovare un equilibrio.
In una società in cui il raziocinio sembra dominare sempre più le emozioni, è importante considerare che l’intelligenza emotiva svolge un ruolo più primitivo persino del cervello razionale. Tuttavia, nei sistemi educativi poche volte si dà la priorità all’educazione emotiva. Non veniamo educati ad osservare quello che proviamo e, pertanto, non sappiamo come reagire in modo efficace di fronte ai nostri sentimenti.
In questo modo, è possibile vedere come l’intelligenza emotiva ricopra un ruolo più importante del semplice rimorchiare in un bar. Grazie ad essa, riusciamo a motivarci, a controllare i nostri impulsi, a regolare gli stati d’animo e ad entrare in empatia con gli altri. Ci permette non solo di convivere con chi ci circonda, ma anche di sopravvivere. È, quindi, la sfera che controlla la maggior parte di quello che siamo.
Immagine per gentile concessione di Brandon Warren.