Persone diffidenti: il perché del loro comportamento
Dietro le persone diffidenti si cela in genere una forte insicurezza. Agiscono inoltre precisi meccanismi emotivi che non le lasciano essere se stesse, che ostacolano e limitano le loro potenzialità. È possibile che il loro comportamento ci metta a disagio, ma dobbiamo capire che per alcune persone è estremamente difficile fidarsi al 100% degli altri.
La mancanza di fiducia è la più intensa e dolorosa forma di solitudine. Chi ne soffre, chi adotta un comportamento sfuggente, rigido e freddo non è felice.
Molti di questi profili sono il risultato di una profonda delusione, di un tradimento, dell’abbandono, di un’infanzia priva di attaccamento e affetto. Quando il legame con chi ci è caro si rompe in modo traumatico, risulta estremamente difficile fidarsi di nuovo.
In quanto organo sociale e programmato per la connessione emotiva, il cervello soffre quando non ha accesso all’interrelazione, ovvero quando mancano forti legami, che a loro volta generano spazi in cui ci sentiamo accuditi, amati e valorizzati. Se non percepiamo questo rinforzo positivo e soprattutto sincero, la nostra insicurezza diventerà la nostra stessa carnefice.
Le persone diffidenti non sono sempre tali per scelta. Vivono costantemente sotto il velo della paura perché temono di essere feriti di nuovo. L’individuo diffidente, dunque, non esita a costruire muri intorno a sé e a mantenersi in allerta affinché nessuno varchi i confini di autoprotezione.
Il miglior modo per scoprire se ci si può fidare di qualcuno, è dargli fiducia.
-Ernest Hemingway-
Le persone diffidenti e il peso delle emozioni negative
Nel 1861 Charles Darwin scrisse una lettera a un amico; una di quelle lettere molto speciali che sarebbero poi state pubblicate nel libro Diario (1838-1881) e scritti autobiografici. In essa Darwin disse letteralmente quanto segue: “Oggi mi sento molto male, mi sento stupido e odio tutti”. Questa frase, quasi come un capriccio infantile, era piena di rabbia, risentimento e frustrazione. Aspetti che sarebbero poi stati analizzati dallo stesso Darwin.
Ricordiamo che il famoso naturalista e padre della teoria dell’evoluzione umana era molto curioso del mondo delle emozioni. Scrisse questa frase fu perché si sentiva tradito da un collega. Aveva perso la fiducia in qualcuno e si sentiva ferito. Quel dolore si tradusse in intense emozioni negative che lo accompagnarono per mesi.
A seguito di uno studio condotto presso l’Università di Amsterdam e l’Università di Zurigo sono state trovate prove a sostegno di un’idea legata a ciò che Darwin aveva provato molti anni prima. Il neurologo Jan Engelmann descrisse il meccanismo neurale che sembra definire le persone diffidenti.
Secondo questo lavoro, alcune persone cronicizzano le emozioni negative che nascono da una delusione o da un tradimento; questa paura costante mantiene la diffidenza della persona.
Amigdala: la sentinella della paura
Quando una persona vive sulla propria pelle il peso delle bugie, delle delusioni, dell’abbandono o del tradimento, teme sopra ogni cosa di ritrovarsi nella stessa situazione.
È pur vero che c’è anche chi affronta e gestisce efficacemente queste situazioni; individui capaci di imparare da quanto successo, che non ristagnano nel pessimismo. Accettano l’accaduto, voltano pagina e si aprono ad altre esperienze.
Al contrario, altri si aggrappano al peso della negatività, a quel “mi sento stupido e odio tutti” che Darwin esprimeva ai suoi tempi. Questa situazione è mediata da una specifica struttura cerebrale: l’amigdala.
È l’amigdala che condanna le persone diffidenti a uno stato di costante ipervigilanza. Queste persone iniziano quasi automaticamente ad associare qualunque dettaglio a una minaccia.
Applicano categorizzazioni, fanno uso di pregiudizi e di un dialogo interiore così limitante e negativo da finire per “intossicarsi” della propria angoscia ed estrema sfiducia. Non è affatto semplice vivere in questo modo, in questo territorio di assoluta infelicità.
Come possiamo fidarci di nuovo degli altri?
Le persone diffidenti sono spesso intrappolate in un agonizzante circolo vizioso. Non sono in grado di fidarsi degli altri, nemmeno di chi fa parte della loro vita di tutti i giorni. A loro volta, il loro approccio e il loro comportamento generano rifiuto intorno a sé. Vedere gli altri allontanarsi accresce ulteriormente il loro disagio e rafforza il desiderio di isolarsi, di proteggersi.
Cosa si può fare in questi casi? Se ci rispecchiamo in questo profilo, cosa possiamo fare per riconnetterci in modo autentico con chi ci circonda? La risposta è semplice da dire e complessa da realizzare: prima di fidarci degli altri, dobbiamo fidarci di noi stessi.
Non è un lavoro esterno, non si tratta di migliorare le nostre abilità sociali, la nostra simpatia o il nostro carisma. Si tratta di connettersi con il proprio Io interiore, con quell’autostima trascurata e il segno di quella delusione o ferita del passato che vive in noi.
È un lavoro faticoso che ci consente di riappropriaci della nostra identità, di valorizzarci in tutti i sensi e, soprattutto, sentirci degni di vivere una felicità ormai dimenticata.
Solo quando recuperiamo la connessione con noi stessi, sentendoci forti e sicuri, abbatteremo quei muri che ci circondano e permetteremo agli altri di entrare. E lo faremo senza paura, consapevoli che la fiducia in sé stessi e negli altri è il segreto che rende la vita più facile e piacevole.
Tutte le fonti citate sono state esaminate a fondo dal nostro team per garantirne la qualità, l'affidabilità, l'attualità e la validità. La bibliografia di questo articolo è stata considerata affidabile e di precisione accademica o scientifica.
- Bodenhausen, G. V., Sheppard, L. A., & Kramer, G. P. (1994). Negative affect and social judgment: The differential impact of anger and sadness. European Journal of social psychology, 24(1), 45-62.
- Engelmann, J. B. (2010). Measuring Trust in Social Neuroeconomics: a Tutorial. Hermeneutische Blätter, 1(2), 225-242.
- Engelmann, JB and Fehr, E (2017). The Neurobiology of Trust: the Important Role of Emotions. P. A. M. van Lange, B. Rockenbach, & T. Yamagishi (Eds.), Social Dilemmas: New Perspectives on Reward and Punishment. New York, NY: Oxford University Press.