Rapport: le migliori tecniche per instaurare buone relazioni

Rapport: le migliori tecniche per instaurare buone relazioni
Alicia Escaño Hidalgo

Scritto e verificato lo psicologa Alicia Escaño Hidalgo.

Ultimo aggiornamento: 14 febbraio, 2023

La parola rapport deriva dal francese rapporter e significa letteralmente “restituire qualcosa”. Se la applichiamo all’ambito della comunicazione tra due persone, si riferisce al fatto che un individuo restituisce ad un altro ciò che questi gli ha inviato. In parole semplici, il rapport è il vincolo tra due o più esseri umani, la sintonia psicologica ed emotiva necessaria affinché avvenga uno “scambio” tra le parti.

L’approccio, la valutazione psicologica previa o le tecniche utilizzate nel corso del trattamento sono estremamente importanti per la cura del paziente. È altrettanto importante che si instauri una buona relazione tra terapeuta e paziente, la quale induca quest’ultimo a fidarsi totalmente del terapeuta e a sentirsi motivato ad intraprendere con questi un cammino terapeutico.

A poco servono metodi e tecniche se non vi è feeling con il paziente. L’assenza di sintonia e compatibilità può ripercuotersi negativamente sul resto delle variabili in gioco: il paziente potrebbe decidere di abbandonare la terapia, potrebbe non prendere sul serio gli obiettivi delle sedute, non sentirsi motivato a cambiare e diffidare dalle strategie proposte o indicate.

Quando parliamo di rapport terapeutico, dunque, ci riferiamo alla mutua comprensione, alla collaborazione e all’empatia necessaria affinché due persone possano risolvere insieme un problema comune e raggiungere gli obiettivi desiderati. È un elemento così importante da essere presente nei programmi universitari per la formazione di futuri terapeuti e nei corsi specializzati destinati a professionisti nell’ambito sanitario. È fondamentale in particolare per tutte le figure professionali il cui lavoro prevede l’interazione con pazienti e la risoluzione di problemi tramite la collaborazione.

Origini del rapport

Il rapport o alleanza terapeutica è un metodo sviluppatosi a partire dal XX secolo. Già Freud, nello scritto del 1912 Dinamica della Traslazione, sottolinea la necessità dell’interesse da parte dell’analista verso il proprio paziente e l’importanza di dimostrare un atteggiamento comprensivo nei suoi riguardi: l’obiettivo di tale strategia era che la parte “sana” del paziente stabilisse una relazione positiva con l’analista.

Freud, nelle sue prime opere, definisce l’affetto del paziente nei confronti del proprio analista come una forma positiva di traslazione. Per la psicoanalisi, la traslazione (o transfert) è il processo psicologico attraverso il quale un individuo trasferisce i suoi pensieri e le sue emozioni inconsci su un’altra persona, in questo caso il terapeuta.

Terapeuta e paziente

Tale proiezione dovrebbe favorire la fiducia verso il terapeuta e porterebbe il paziente, come già detto, ad accettare le interpretazioni di quest’ultimo. Successivamente, si appurò che non era il processo di traslazione in sé a generare tra paziente e analista quel clima di fiducia e collaborazione ideale, dato che in molte occasioni la relazione era compromessa da fraintendimenti che in nessun modo portavano ad esiti positivi.

In seguito, il concetto di rapport viene adottato dalla maggior parte delle scuole di psicoterapia, che si allontanano progressivamente dal concetto di traslazione introdotto dalla psicoanalisi. Secondo Rogers, fondatore insieme ad  Abraham Maslow della psicologia umanistica, bisogna prestare particolare attenzione alla qualità del rapporto terapeuta-paziente. Rogers afferma che lo psicologo deve possedere tre caratteristiche fondamentali: autenticità, accettazione incondizionata verso il paziente e comprensione empatica.

Secondo l’autore, la possibilità del successo terapeutico dipenderebbe non tanto dalla personalità dello psicologo e dal suo atteggiamento, quanto dal modo in cui questi elementi vengono percepiti dal paziente all’interno della relazione terapeutica. Affinché l’interpretazione sia positiva, il paziente deve sentirsi capito (quindi che ci sia empatia) e accettato incondizionatamente.

Negli anni ’70, Bordin definisce le caratteristiche dell’alleanza terapeutica o rapport che devono essere comuni a ogni approccio terapeutico. L’autore identifica tre componenti essenziali nella relazione terapeuta-paziente: essere d’accordo sugli obiettivi, essere d’accordo sui singoli compiti e l’instaurazione di un legame positivo.

Tecniche per un buon rapport

I punti cardine su cui deve basarsi il rapport sono la fiducia e la fluidità nella comunicazione. Nell’affermare che la comunicazione debba essere “fluida”, non intendiamo “equivalente” bensì capace di generare comprensione tra le parti a più livelli, sia verbale che non verbale.

In realtà la comunicazione deve essere asimmetrica: è bene che il paziente intervenga in essa molto più rispetto allo psicologo. Vediamo ora alcune tecniche che si sono rivelate efficaci nell’instaurare un buon rapport.

Ascolto attivo

È una tecnica in apparenza semplice, ma possibilmente molto difficile da realizzare. Consiste nell’ascoltare quello che il paziente vuole raccontare senza interromperlo, mantenendo salda la predisposizione a non formulare alcun tipo di giudizio, ma mostrando al tempo stesso partecipazione tramite gesti ed espressioni. Lo psicologo deve ascoltare il paziente con attenzione cercando di percepire cosa voglia comunicare e interpretare le sue emozioni.

Uomo dallo psicologo

Calorosità

Affinché esista un buon rapport, è necessario che lo psicologo si mostri caloroso e cordiale con il suo paziente. Uno psicologo professionista può conoscere numerose tecniche e avere molta esperienza alle spalle, ma se non è affabile con il suo paziente, tutto il resto non serve a molto.

In assenza di questa caratteristica fondamentale c’è il rischio che il paziente non si fidi del suo psicologo e non si apra completamente, cosicché molte informazioni vadano perse perché taciute.

La mancanza di fiducia, inoltre, si ripercuote negativamente sull’impegno del paziente nel portare avanti la terapia: aumenta la predisposizione a non seguire i compiti specifici prescritti fuori dalle sedute.

Empatia

Metterci nei panni della persona che abbiamo davanti è indispensabile se vogliamo aiutarla. Per lo psicologo non deve essere rilevante se il paziente soffre di un disturbo emotivo o se è un delinquente: nel rapporto tra le due parti è necessario che lo psicologo veda il mondo con gli occhi del paziente, senza doverne necessariamente condividere i sentimenti o credere che le sue azioni siano corrette. Solo attraverso l’empatia è possibile guadagnarsi la fiducia del paziente e, di conseguenza, aiutarlo.

Fiducia

Come già detto, per il buon esito della terapia è necessario che il paziente si fidi del suo psicologo e si senta a suo agio durante le sedute. Per guadagnarci la fiducia del paziente, oltre a quanto elencato finora, dobbiamo essere credibili.

Il paziente deve percepire che siamo professionali, competenti e con una solida formazione alle spalle e che se per caso non fossimo aggiornati su qualche argomento, faremmo senza dubbio il possibile per trovare risposte alle sue domande, anche ricorrendo all’aiuto di un altro professionista o preoccupandoci di colmare le lacune che abbiamo in merito a quell’aspetto in particolare. In tal modo, il paziente si fiderà davvero e confiderà nella nostra capacità di aiutarlo.

Amiche che si danno la mano

Punti in comune

È importante sottolineare gli interessi comuni che psicologo e paziente condividono. In particolare, è necessario focalizzare l’attenzione del paziente sul fatto che il raggiungimento dell’obiettivo terapeutico prefissato è anche di interesse dello psicologo. Tuttavia, è importante cercare di non uscire fuori tema finendo per trovare punti in comune che nulla hanno a che vedere con l’obiettivo della terapia. Divagare equivale a perdere tempo prezioso nelle sedute al punto che la relazione cessa di essere asimmetrica, cosa non raccomandabile per l’esito della terapia.

Coerenza tra linguaggio verbale e non verbale

Bisogna essere accorti nel comunicare con il paziente in quanto ci può capitare di contraddire tramite i gesti o con una semplice espressione quanto dichiarato a parole. La coerenza tra linguaggio verbale e linguaggio non verbale è fondamentale nella relazione psicologo-paziente: in assenza di essa non avremmo la possibilità di creare il clima di fiducia e collaborazione su cui tanto abbiamo insistito.

Se ciò che esprimiamo attraverso la postura o i gesti contraddice le nostre parole, il primo aspetto, che in realtà è quello autentico, prevale sul secondo; il linguaggio non verbale agisce infatti a livello più inconscio e profondo di quello verbale.

Bisogna tener presente che è indispensabile, come afferma Rogers, mostrarci autentici e genuini con il nostro paziente. Bisogna sempre prestare attenzione alla forma con cui ci esprimiamo, mantenere viva la cordialità e l’empatia e non generare incongruenze tra linguaggio verbale e non verbale nell’interazione con il nostro paziente.

Donna e psicologo

E se il feeling non c’è?

Sebbene le tecniche fin qui presentate possano apparire semplici e intuitive, non è affatto facile metterle in pratica in modo corretto quando ci interfacciamo con il paziente: lo psicologo stesso è un essere umano, con i suoi valori, i suoi atteggiamenti, le sue emozioni…tutte caratteristiche che spesso deve escludere dalle sedute.

Al di là dell’impegno, però, può succedere che non si instauri una bella relazione con il paziente, e in tal caso non ci si deve sentire delusi. Come in qualsiasi relazione informale, può capitare che tra due persone non ci sia feeling, così nella relazione terapeuta-paziente, nonostante l’impegno condiviso, può succedere che manchi la sintonia.

In questo caso, la cosa più sensata e onesta da fare è indirizzare il paziente verso un altro professionista con la speranza che con quest’ultimo egli instauri una migliore alleanza terapeutica, e possa progredire nel suo percorso di crescita personale. Così, né lo psicologo né il paziente avranno perso tempo e potranno entrambi dedicarsi al raggiungimento dei propri obiettivi.

Bibliografia

Rogers, C. (1987). Terapia Centrata sul cliente. Giunti editore.

Freud, A. (1936). L’Io e i meccanismi di difesa. Psycho. Giunti editore


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