Toccare ed essere toccati: molto più di un bisogno biologico
Toccare ed essere toccati dalle persone che amiamo è molto più di un bisogno biologico. Fa parte del nostro linguaggio, significa nutrire i bisogni emotivi e convalidare l’affetto, spegnere le paure e donarci ossitocina. Quando manca tutto questo, si ha fame di pelle, aumenta lo stress e persino il disagio fisico.
La cute è il nostro più grande organo sensoriale. Il tatto, da parte sua, è il primo senso che acquisiamo insieme all’olfatto. Non a caso, il contatto pelle a pelle con i bambini, soprattutto con i neonati prematuri, favorisce lo sviluppo dell’area somatosensoriale del cervello, ottimizzando così lo sviluppo cognitivo, percettivo e sociale, nonché fisico.
Come gli animali, anche gli esseri umani hanno bisogno di questo contatto, e non solo durante le prime fasi della loro vita. Per esempio, i processi di attenzione e comunicazione subiscono un notevole miglioramento negli anziani che ricevono abbracci, carezze e che godono del contatto fisico espresso dai gesti affettuosi. Oltre a ciò, si sentono meno stanchi e accusano meno dolore alle articolazioni.
Il nostro cervello ha bisogno del contatto fisico con le persone importanti per ritrovare quell’equilibrio emotivo che promuovere la calma psicologica. Negli ultimi anni la scienza ha scoperto molti altri processi associati al tatto di cui non eravamo a conoscenza. Approfondiamo l’argomento nelle righe che seguono.
“Spesso dimentichiamo quanto è importante toccare ed essere toccati, eppure ne abbiamo bisogno per sopravvivere.”
-Camilla Läckberg-
Toccare ed essere toccati, non solo un bisogno biologico
Tutti hanno bisogno di toccare ed essere toccati per comunicare affetto, aiutare, ricevere o dare conforto… È risaputo e la scienza ce lo ha dimostrato empiricamente nel corso degli anni. Ma ora è stato scoperto un aspetto ancora più interessant.
Matthew Hertenstein, psicologo dell’Università della DePauw University, Indiana (Stati Uniti), ha condotto uno studio sui contatti umani e ha scoperto che il tatto ci consente persino di percepire le emozioni.
L’esperimento è stato condotto nel 2009 su un gruppo di 248 persone che, una volta bendate, sono state accarezzate da alcuni sconosciuti per 5 secondi.
Seppur sorprendente, il 75% di queste persone è stato capace di rilevare la preoccupazione, la paura, la tristezza, la rabbia, la simpatia o persino la felicità di chi le stava toccando.
Lo studio ha gettato le basi per nuove ricerche, come quella successiva condotta dalla Dottoressa Tiffany Field, direttore dell’Istituto di ricerca tattile dell’Università di Miami. La Field è giunta alle conclusioni che esponiamo nel seguente paragrafo.
Siamo capaci di inviare, ricevere e interpretare i segnali emotivi attraverso il tatto
Un fisioterapista usa le mani non solo come strumento di lavoro: attraverso di esse, può anche leggere preoccupazioni, tensioni, emozioni avverse, contratture intensificanti. A loro volta, quelle mani esperte non solo calmano il dolore e migliorano la mobilità, ma hanno anche la meravigliosa capacità di trasmetterci benessere.
Gli autori di questo studio sottolineano il bisogno di approfondire l’argomento analizzando un campione più ampio della popolazione. Ciononostante, è già stata stabilita la seguente ipotesi:
Il bisogno di toccare ed essere toccati va oltre l’offrire affetto. Dal punto di vista evolutivo, abbiamo acquisito la capacità di percepire tramite il tatto lo stato emotivo altrui. Ciò ci permette di donare sollievo a chi soffre attraverso un abbraccio o una carezza.
La corteccia somatosensoriale primaria e il suo coinvolgimento nel tatto
Fino a non molto tempo fa i neurologi pensavano che la corteccia somatosensoriale ci permettesse di decodificare qualità basilari come sapere se una superficie è liscia o ruvida, se la sua temperatura è alta o fredda, etc.
Grazie alle nuove scoperte in merito alla relazione tra il senso del tatto e le emozioni, sappiamo che le sue funzioni vanno oltre.
“Toccare è un modo molto più sfumato, sofisticato e preciso di comunicare le emozioni, più versatile della voce o dell’espressione facciale.”
-Matteo Hertenstein-
Quest’area del nostro cervello è collegata anche a componenti sociali ed emotive. Per esempio, ci aiuta a percepire la tensione o la preoccupazione nei nostri figli e a cercare la loro vicinanza per abbracciarli. Attraverso questo contatto, offriamo conforto, sicurezza e ovviamente il nostro affetto.
Michael Spezio, psicologo dello Scripps College e autore di questo studio, ci dice che toccare non è solo un’esperienza fisica: è un’esperienza emotiva e una forma di comunicazione. È un meccanismo attraverso il quale siamo in grado di capire l’altro e di rispondergli senza bisogno di parole.
Toccare ed essere toccati: il linguaggio del tatto è alla nostra portata
Nel corso della vita non si ricevono mai più tante esperienze sensoriali attraverso il tatto come quando si è bambini. Allo stesso modo, la cultura e l’educazione ricevuta facilitano o frenano questa forma di comunicazione, ovvero dare carezze e abbracci in età adulta.
Persino gli atleti fanno uso del tatto (un tocco, una carezza, un abbraccio) per sostenersi a vicenda in un momento emotivo intenso come una partita. Sono momenti in cui serve qualcosa di più di una parola. E funziona. Siamo quindi convinti che l’uso di questo linguaggio sia essenziale.
Perché toccare ed essere toccati va oltre un mero bisogno biologico. È una base sociale che ci permette di migliorare il nostro universo emotivo.
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