Udito: l'ultimo senso perso prima di morire

Uno studio condotto in Canada ha scoperto che l'udito è l'ultimo senso che tende a scollegarsi dalle facoltà cognitive. Un dato curioso, dalle interessanti implicazioni.
Udito: l'ultimo senso perso prima di morire
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 12 marzo, 2023

La morte è e rimarrà un mistero che può essere solo scalfito nel tentativo di comprenderlo appieno. Uno dei pochi dati che la scienza è stata in grado di avvalorare è che il senso dell’udito è l’ultimo che perdiamo prima di morire.

Il passaggio dalla vita alla morte rappresenta il momento che più di tutti è oggetto di interrogativi. Già da tempo si affermava che l’udito fosse l’unico senso a rimane attivo dopo la vista e la coscienza. Oggi uno studio scientifico lo conferma.

La scoperta non è certo di poco conto, dal momento che parlare alla persona in fin di vita è di estremo conforto per entrambi. Se l’udito è ancora attivo, le parole amorevoli possono aiutare la persona a esalare l’ultimo respiro in pace.

“È più facile sopportare la morte senza pensarvi che il pensiero della morte senza pericolo.”

-Blaise Pascal-

Persona che tiene stretta una mano.

L’udito e il momento del trapasso

Lo studio è stato condotto dai ricercatori della University of British Columbia (UBC). I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports. Lo studio ha coinvolto alcuni pazienti sul punto di morire presso il St. John Hospice di Vancouver (Canada). I dati sono stati confrontati con un gruppo di controllo formato da persone sane.

I ricercatori, guidati dalla Dottoressa Elizabeth Blundon, hanno monitorato i pazienti attraverso l’uso dell’elettroencefalogramma (EEG). Questo strumento misura l’attività elettrica del cervello e permette di rilevare eventuali risposte agli stimoli ambientali.

I pazienti venivano esposti a suoni comuni e insoliti durante lo stato di coscienza e incoscienza. La stessa procedura è stata applicata anche ai pazienti sani. In entrambi i casi si è ottenuta una risposta cerebrale simile.

Mano di persona anziana.

I risultati dello studio

I ricercatori sono giunti alla conclusione che le persone riuscivano a percepire i suoni anche quando entravano in uno stato di incoscienza poco prima di morire. La Dottoressa Elizabeth Blundon ha spiegato che esiste chi muore di morte naturale entra in una fase di assenza di risposta. Ciononostante, lo studio indica che pur così sono ancora in grado di udire.

Blundon ha aggiunto che “i dati mostrano che il cervello morente può rispondere ai suoni anche in uno stato di incoscienza, fino agli ultimi minuti di vita”. Ciò conferma l’idea che l’udito sia l’ultimo senso a scomparire.

Tuttavia, i ricercatori non sono in grado di spiegare se la percezione di questi suoni coinvolga un preciso livello di coscienza. In altre parole, non sappiamo ancora se e fino a che punto le persone in punto di morte possano cogliere il significato dei suoni.

Romayne Gallagher, medico che si è dedicato a studiare questo argomento, ritiene che esista un certo livello di coscienza; afferma ciò perché durante la sua carriera ha osservato reazioni estremamente positive nei pazienti in punto di morte che sentivano la voce delle persone care. Lo studio della UBC, di fatto, non consente di avvalorare né di escludere tale possibilità.

Altri dati interessanti

Nel 2017 anche il dottor Sam Parnia della New York University si è posto diversi interrogativi sugli ultimi istanti di vita. La sua esperienza con pazienti tornati coscienti dopo un infarto lo ha portato a credere che l’attività cerebrale si mantenga anche dopo che il corpo è clinicamente morto.

Parnia afferma che la morte è un’esperienza, non un momento. Una volta che i polmoni cessano di respirare e il cuore smette di battere, l’attività cerebrale è ancora presente e persiste per almeno altri tre minuti. In tal senso, non è chiaro se la persona sia o meno consapevole della propria morte, ma Parnia pensa di sì.

Il medico invita a ricordare che si può rianimare una persona dopo un attacco di cuore se non sussistono danni cerebrali. Afferma, inoltre, che è possibile fino a cinque o sei ore dopo la “morte” perché il cervello continua a funzionare. L’argomento è estremamente affascinante, ma, come per tanti altri, al momento sono più le domande che le risposte.


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  • Llano Escobar, A. (1990). El morir humano ha cambiado. Boletín de la Oficina Sanitaria Panamericana (OSP); 108 (5-6), mayo.-jun. 1990.


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