Villa 21, esperimento di antipsichiatria
David Cooper è stato l’autore di un esperimento che possiamo inserire nell’ambito della psichiatria e che ha avuto luogo nella così chiamata Villa 21. Sebbene i risultati furono incoraggianti, per qualche strana ragione sono pochi gli psichiatri che li rivendicano. Forse dietro a questa intenzionale ignoranza, si celano interessi economici. Sappiamo tutti che dopare un malato mentale è molto più economico che mettere in atto altri interventi. Nel primo caso basta un medico e una pasticca; nel secondo serve del personale, tempo e analisi.
Purtroppo, i pregiudizi nei confronti delle malattie mentali persistono e continuano a essere alimentati. Si promuove l’idea che una persona affetta da schizofrenia o dal disturbo bipolare sia pericolosa per le persone che la circondano. Le statistiche della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che solo il 5% dei diagnosticati incorrono in condotte violente. Tra le persone definite “normali”, questa percentuale raggiunge il 10%.
Per molto tempo il trattamento delle patologie mentali è stato incentrato sul generare meccanismi che reprimessero le emozioni e i comportamenti. Si ricorreva a farmaci che riducevano l’intensità delle emozioni e si aprivano le porte degli ospedali psichiatrici. David Cooper si oppose a questo schema. Dalla sua visione prettamente più umana, nacque l’esperimento di antipsichiatria chiamato Villa 21.
“L’antipsichiatria è per natura politica e sovversiva rispetto al repressivo ordine sociale borghese (…) L’antipsichiatria rappresenta chi è disposto a correre i rischi legati a cambiare progressivamente e radicalmente il modo in cui vive.”
-David G. Cooper-
La visione di Cooper
David Cooper sviluppò una visione della pazzia da un punto di vista fenomenologico ed esistenziale. Fu fortemente influenzato dalle idee di Herbert Marcuse e si staccò dall’idea che le malattie mentali avessero un’origine fisica; al contrario, si concentrò sui fattori sociali come cause scatenanti di quegli stadi di rottura con la realtà. Fu a partire da questa visione che realizzò il suo esperimento di antipsichiatria.
Per Cooper esistevano tre forme di pazzia:
- La demenza. È quella che nasce dall’influenza del sistema sugli individui. Le guerre, la povertà, i danni ecologici… Queste realtà disorganizzano il mondo interiore dei soggetti.
- Il viaggio interiore. Si tratta di una rottura con la realtà nella quale l’individuo va alla ricerca del suo Io più autentico, rompendo con l’alienazione e costruendo un progetto di vita proprio.
- La demenza sociale. È causata direttamente dall’ambiente malato che finisce per far ammalare l’individuo. Questi ambienti possono essere la famiglia, la scuola, il lavoro, ecc. Alla persona non resta che impazzire per scappare dal contesto.
Cooper era convinto che era possibile curare tutte queste patologie. A differenza della psicologia tradizionale, non le considerava malattie croniche, bensì superabili tramite il trattamento adeguato. Fu proprio questo l’obiettivo del suo esperimento di antipsichiatria.
Villa 21 e l’esperimento di antipsichiatria
Cooper partì dall’idea che i giovani adolescenti non dovessero entrare in contatto con i malati rinchiusi da anni in ospedale. Riuscì a farsi assegnare un’unità all’interno di un grande ospedale psichiatrico di Londra per poter svolgere il suo esperimento antipsichiatrico. Tale sezione fu rinominata Villa 21.
La sezione era volta ad accogliere giovani e adolescenti, mettendo su una comunità terapeutica che funzionasse in modo indipendente e autonomo. A differenza del resto dell’ospedale che disponeva in tutto di 2000 letti, Villa 21 ne aveva solo 19. Tutti gli ospiti di questa sezione erano state diagnosticate per la prima volta come schizofreniche.
La selezione del personale e degli infermieri si basò su un criterio simile: si sceglievano i medici e gli assistenti giovani e con poca esperienza all’interno di ospedali psichiatrici. Dovevano essere aperti alla nuova realtà e privi di pregiudizi legati a esperienze pregresse.
Gli interessanti risultati
Villa 21 promuoveva l’autonomia. I pazienti godevano di un ampio margine di libertà per prendere le decisioni che ritenevano pertinenti. Si evitò di stabilire norme ovunque fosse possibile applicare flessibilità. Erano i pazienti a decidere e accordarsi sulle attività giornaliere da realizzare all’interno dell’unità.
Si cercò di dare particolare importanza alla dinamica di gruppo. Il ruolo degli accompagnatori e dei professionisti della salute era semplicemente quello di facilitare e suggerire. In ultimo, erano i pazienti a decidere le attività e il loro svolgimento. Vennero formati dei sotto-gruppi di lavoro a funzionamento orizzontale.
Inizialmente il nuovo metodo provoco un certo caos. Tuttavia, con il tempo i pazienti riuscirono a organizzarsi in maniera stabile e funzionale, migliorando le proprie condizioni di salute. L’esperimento avvenne tra il 1962 e il 1966 e coinvolse 42 pazienti. Ciascuno fu dimesso prima di un anno di ricovero, e soltanto il 17% dovette tornare.
Nonostante questi risultati, l’esperimento di antipsichiatria venne sospeso, ma continua a essere acnora oggi un modello di lettura diverso della psichiatria.